Uno degli aspetti più critici della riforma del diritto doganale introdotta mediante il d.lg.s 141 del 2024 attiene alla rilevanza del dolo. Ci riferiamo all’ipotesi in cui la condotta del dichiarante configuri una forma di contrabbando per dichiarazione infedele (art. 79 Allegato 1, d.lgs. 141 del 2024): l’art. 96, comma 14, di tale Allegato 1 prescrive che l’autore sia punito con la sanzione amministrativa se l’autorità giudiziaria non ravvisi una condotta dolosa.
La sussistenza del dolo è quindi dirimente per distinguere, nell’ipotesi indicata, tra responsabilità di carattere penale e responsabilità di carattere amministrativo.
Come è noto, per aversi dolo occorre la compresenza di due elementi: la rappresentazione e la volontà del fatto. Vi è rappresentazione quando chi agisce abbia conoscenza di tutti gli elementi del reato (condotta, evento); vi è la volontà quando chi agisce ha la determinazione di realizzare il fatto di reato, così come rappresentato. È altresì noto che il dolo può assumere varie forme. In particolare, sussiste dolo generico quando chi agisce ha la volontà dell’evento. Sussiste invece il dolo specifico quando chi agisce persegue un fine ulteriore e determinato.
Nel caso del contrabbando per dichiarazione infedele, il dolo può ritenersi sussistente quando l’operatore doganale presenti la dichiarazione avendo effettiva consapevolezza della non corrispondenza al vero dei dati dichiarati (qualità, quantità, origine, ecc.) relativi all’applicazione della tariffa e alla liquidazione dei diritti.
In questa prospettiva, il dubbio sugli elementi del fatto di reato può escludere l’elemento soggettivo del dolo e qualificare la condotta come colposa. Tuttavia, il dolo nel contrabbando può sussistere anche nella forma di “dolo eventuale” quando chi agisce, pur non avendo effettiva volontà o interesse alla presentazione di una dichiarazione infedele, accetti tuttavia il rischio che i dati dichiarati siano falsi (in altri termini, quando chi agisce avrebbe presentato comunque la dichiarazione anche se avesse avuto la certezza, e non il semplice dubbio, della falsità dei dati dichiarati).
Il tema centrale è quindi quello della prova del dolo. Poiché vale la presunzione d’innocenza o di non colpevolezza (Art. 27, secondo comma, della Costituzione), spetta all’accusa la dimostrazione del dolo. In caso di dubbio sul dolo o sull’intenzionalità della condotta, si dovrà escludere la responsabilità penale per difetto dell’elemento soggettivo. Tale dimostrazione può derivare da riscontri diretti, quali le dichiarazioni dell’autore del fatto di reato, o indirettamente attraverso un percorso logico stringente e suffragato dagli elementi fattuali.
La giurisprudenza della Corte di cassazione, anche in tempi recenti, ha rilevato che la prova dell’elemento soggettivo del reato (dolo) può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, sia possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (Cass. pen, 4 settembre 2024, n. 33658).
Sulla base di tali premesse, la circostanza per cui il dichiarante doganale, attenendosi scrupolosamente alle istruzioni del mandante, abbia inserito nella dichiarazione dati non veri, dovrebbe essere trattata attenendosi alla prescrizione dell’art. 48 c.p., secondo cui, se l’errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall’altrui inganno, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo. Si tratta di previsione normativa che trova il suo speculare riferimento, sul piano sanzionatorio amministrativo, nella nota disciplina dell’autore mediato, contenuta nell’art. 10 d.lgs. 472 del 1997.
Sul piano della responsabilità penale, varrà a confermare il ricorso all’art. 48 c.p., la presenza di chiare istruzioni del mandante, a cui il dichiarante si sia attenuto e l’assenza di riscontri documentali in possesso del dichiarante idonei a palesare la non conformità al vero dei dati e dei documenti ricevuti nello svolgimento del suo incarico.
Vale pertanto ricordare che l’adozione di validate procedure interne che assicurino la corretta gestione delle operazioni doganali può essere dirimente per ridurre sostanzialmente il rischio di coinvolgimenti in fatti di penale responsabilità.
Fabrizio Vismara è partner del dipartimento di Contenzioso e di Diritto Tributario dello studio Squire Patton Boggs presso la sede di Milano.
Avvocato esperto di diritto societario e tributario, nonché professore di diritto internazionale, il Professor Vismara rappresenta clienti italiani e internazionali in materia di regolamentazione finanziaria, societaria e fiscale a livello nazionale e transfrontaliero.