Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione X, sentenza 11/4/2024, causa C-770/22 – Pres. Csehi, Rel. Regan – OSTP Italy S.r.l. c/ Ufficio delle Dogane di Genova 1 e altri
Codice doganale dell’Unione – Sentenze di primo grado che annullano misure doganali relative a risorse proprie tradizionali dell’Unione europea – Immediata esecutività di tali sentenze
Gli articoli da 43 a 45 del Codice doganale dell’Unione devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede l’immediata esecutività delle sentenze di primo grado non ancora divenute definitive che riguardino risorse proprie tradizionali dell’Unione europea.
Nel corso del 2019 alcuni Uffici doganali notificavano alla OSTP degli avvisi di accertamento (con correlati atti sanzionatori) per dazi antidumping dovuti per l’importazione di tubi d’acciaio provenienti da paesi terzi, in quanto tali tubi risultavano importati dall’India, mentre provenivano in realtà dalla Cina. A tali avvisi di accertamento ha fatto seguito la notifica di sanzioni alla OSTP.
Tutti i provvedimenti impositivi e sanzionatori venivano integralmente annullati dalla Corte di Giustizia Tributaria di I° grado di Genova con sentenze che appellate dagli Uffici doganali dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di II° grado della Liguria, che non adottava formalmente una decisione di sospensione dell’esecuzione di dette sentenze.
Successivamente, l’amministrazione finanziaria notificava alla OSTP una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria con cui l’avvertiva che, in caso di mancato pagamento delle somme menzionate negli avvisi di accertamento, si sarebbe proceduto all’iscrizione di un’ipoteca sui suoi beni immobili per un valore pari al doppio dell’importo del debito.
La Società contestava tale comunicazione dinanzi la Corte di Giustizia Tributaria di I° grado di Genova sostenendo che, secondo la legislazione italiana in tema di riscossione di dazi e diritti doganali, qualora un giudice di primo grado abbia accolto, in tutto o in parte, il ricorso avverso un avviso di accertamento, le somme pretese in forza di tale avviso cesserebbero di essere esigibili.
L’Agenzia delle dogane si costituiva in giudizio eccependo la cessazione della materia del contendere (poiché nelle more la OSTP aveva versato integralmente gli importi di cui agli avvisi di accertamento annullati) e, in subordine, che con ordinanza del 13/10/2020, n. 22012, la Corte suprema di Cassazione aveva rilevato, in sostanza, che, ai sensi dell’articolo 45 del Codice doganale dell’Unione, la presentazione di un ricorso amministrativo o giurisdizionale non sospende l’esecutività di una decisione relativa all’applicazione della legislazione doganale e che, conformemente all’articolo 98 di tale Codice, la garanzia costituita per un’obbligazione doganale non può essere svincolata se, in particolare, tale obbligazione non si è estinta.
In tale contesto, la Corte di Giustizia Tributaria di I° grado di Genova ha chiesto alla Corte UE se, in sostanza, si possa realmente dedurre dall’articolo 45 del Codice doganale dell’Unione, se non anche dagli articoli 43 e 44 di quest’ultimo, che gli Stati membri non devono riconoscere immediata esecutività alle sentenze di primo grado che hanno annullato avvisi di accertamento relativi a risorse proprie tradizionali dell’Unione. In particolare, il giudice del rinvio ha chiesto di chiarire se tale soluzione non sia contraria al diritto di ricorso, rammentato all’articolo 44 del medesimo codice, letto alla luce del principio di tutela giurisdizionale effettiva garantito dall’articolo 19 TUE e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il quale obbligherebbe gli Stati membri a prevedere la sospensione dell’esecuzione di qualsiasi decisione amministrativa annullata da un giudice di primo grado, e ciò al fine di conferire ai rimedi giurisdizionali una reale utilità per il singolo.
Nel rispondere nel senso di cui alla massima che precede, la Corte eurounionale ha osservato che l’articolo 44 e l’articolo 45 del Codice doganale dell’Unione non sono rilevanti al fine di valutare la compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che prevede l’immediata esecutività delle sentenze di primo grado, anche quando tali sentenze hanno annullato, in tutto o in parte, avvisi di accertamento relativi a risorse proprie tradizionali dell’Unione.
Infatti, l’articolo 43 di tale Codice dispone espressamente che gli articoli 44 e 45 di quest’ultimo non si applicano ai ricorsi presentati a scopo di annullamento, revoca o modifica di una decisione in materia di applicazione della normativa doganale presa da un’autorità giudiziaria. Pertanto, sebbene l’articolo 44, paragrafo 2, del medesimo Codice consideri l’ipotesi in cui il diritto di ricorso, che ai sensi di tale disposizione deve poter essere esperito in due fasi, sia esercitato successivamente dinanzi a due autorità giudiziarie, ciò non toglie che la norma di cui all’articolo 45, paragrafo 1, di detto Codice, secondo cui la presentazione di un ricorso non sospende l’applicazione della decisione contestata, si applica solo ai ricorsi presentati avverso decisioni relative all’applicazione della normativa doganale adottate dalle autorità doganali e non avverso le decisioni giudiziarie che statuiscono su tali ricorsi.
Poiché la questione dell’immediata esecutività o meno delle sentenze di primo grado, nonché il regime giuridico dell’appello, non rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 44 e 45 del Codice doganale dell’Unione, tali disposizioni non possono ostare a una normativa nazionale che prevede l’immediata esecutività delle sentenze di primo grado non ancora definitive, né esigere che la normativa nazionale preveda l’immediata esecutività di tali sentenze.
Tale interpretazione – ha osservato poi la Corte – non è messa in discussione dall’obbligo che grava sugli Stati membri ai sensi dell’articolo 13 del regolamento n. 609/2014, letto alla luce della decisione 2014/335, di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti dell’Unione sulle risorse proprie tradizionali.
È vero che, ai sensi dell’articolo 45, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, la presentazione di un ricorso non ha effetto sospensivo, cosicché, in via di principio, quando un soggetto passivo contesta un avviso di accertamento in rettifica egli avrà generalmente già pagato le somme richieste allorché si deciderà in primo grado sul suo ricorso o, quantomeno, avrà costituito una garanzia doganale, ai sensi dell’articolo 45, paragrafo 3, di tale codice, qualora le autorità doganali gli abbiano concesso una sospensione dell’applicazione ai sensi dell’articolo 45, paragrafo 2, di detto codice. Pertanto, quando, una sentenza di primo grado che ha invalidato avvisi di accertamento in rettifica venga annullata all’esito di un appello interposto dalle autorità doganali, si presume che lo Stato membro disponga già dell’importo corrispondente ai diritti dell’Unione sulle risorse proprie tradizionali, che esso dovrà mettere a disposizione della Commissione ai sensi dell’articolo 13 del regolamento n. 609/2014, letto alla luce della decisione 2014/335.
Ciononostante, la Corte europea ha rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte suprema di Cassazione nella sua ordinanza del 13 ottobre 2020, n. 22012, non si può dedurne che, al fine di garantire la riscossione dei diritti accertati ai sensi dell’articolo 2 del regolamento n. 609/2014 da parte dell’Unione, l’articolo 45, paragrafo 1, del Codice doganale dell’Unione debba essere interpretato nel senso di obbligare gli Stati membri a permettere alle autorità doganali che abbiano tardato a procedere alla riscossione delle somme di cui all’avviso di accertamento in rettifica da loro emesso, di poter continuare a farlo dopo che sia stata emessa una sentenza di primo grado che annulla tale avviso di accertamento, finché tale sentenza non sia divenuta definitiva.
Tale interpretazione non risulta necessaria al fine di garantire la riscossione, da parte dell’Unione, dei diritti accertati ai sensi dell’articolo 2 del regolamento n. 609/2014. Infatti, la Corte europea ha già sottolineato che gli errori in cui siano incorse le autorità doganali di uno Stato membro non dispensano quest’ultimo dal suo obbligo di mettere a disposizione dell’Unione i diritti che esso avrebbe dovuto accertare, corredati, se del caso, da interessi di mora. Orbene, analogamente, la negligenza delle autorità doganali non può dispensare lo Stato membro da tale obbligo. Ma soprattutto, poiché la formulazione dell’articolo 43 del codice doganale dell’Unione è assolutamente chiara e univoca nell’escludere l’applicabilità degli articoli 44 e 45 di tale codice ai ricorsi presentati avverso una decisione adottata da un’autorità giudiziaria, non si può procedere ad alcun’altra interpretazione di tali disposizioni.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione IV, Sentenza 11/4/2024, causa C-654/22 – Pres. Lycourgos, Rel. Rodin – FOD Volksgezondheid c/ Triferto Belgium NV
Registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche – Regolamento (CE) n. 1907/2006 (regolamento REACH) – Articolo 2, paragrafo 1, lettera b) – Ambito di applicazione – Articolo 3, punti 10 e 11 – Nozioni di “importazione” e di “importatore” – Articolo 6 – Obbligo di registrazione – Persona che assume la responsabilità della registrazione – Regolamento (UE) n. 952/2013 – Codice doganale dell’Unione europea – Deposito doganale
L’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE, come modificato dal regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, deve essere interpretato nel senso che l’esclusione dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1907/2006, come modificato, prevista da detta disposizione si applica unicamente alle sostanze, in quanto tali o in quanto componenti di miscele o articoli, che sono assoggettate a controllo doganale e che non sono sottoposte ad alcun trattamento o ad alcuna trasformazione, qualora tali sostanze siano poste in una delle situazioni espressamente menzionate da detta disposizione.
L’articolo 3, punti 10 e 11, e l’articolo 6 del regolamento n. 1907/2006, come modificato dal regolamento n. 1272/2008, devono essere interpretati nel senso che l’acquirente di più di una tonnellata all’anno di una sostanza importata nell’Unione europea e rientrante nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1907/2006, come modificato, non è tenuto a presentare esso stesso la domanda di registrazione di tale sostanza qualora un’altra persona stabilita nell’Unione abbia assunto la responsabilità dell’importazione nell’Unione di detta sostanza, tale persona abbia presentato detta domanda e nessun elemento indichi che siano stati elusi obblighi connessi al meccanismo di registrazione istituito da detto regolamento.
Nel 2019 la Triferto ha acquistato più di una tonnellata di urea. Tale merce proveniva da un paese terzo e il luogo di consegna convenuto era Gent. Su richiesta di quest’ultima società, la Belor-Eurofert Gmbh (in prosieguo: la “Belor”), con sede in Bamberga (Germania), ha introdotto fisicamente il carico di urea di cui trattasi nell’Unione e l’ha collocato in un deposito doganale a Gent. La Belor, quale sedicente importatore, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento REACH, aveva precedentemente presentato una domanda di registrazione all’ECHA dell’urea di cui trattasi e aveva proceduto a dichiarare in dogana tale merce.
A seguito di un controllo volto a verificare il rispetto del regolamento REACH, effettuato l’11/2/2020, il Servizio di Sanità Pubblica ha ritenuto che fosse la Triferto, e non la Belor, a dover essere considerata l’importatore, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 6 del regolamento REACH. Ritenendo che incombesse alla Triferto chiedere la registrazione dell’urea di cui trattasi, il detto Servizio le ha inflitto una sanzione pecuniaria.
La Triferto ricorreva avverso la sanzione e il Giudice adito decideva di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione due questioni pregiudiziali.
Con la prima parte della sua seconda questione, che la Corte ha esaminato per prima, il Giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento REACH dovesse essere interpretato nel senso che l’esclusione dall’ambito di applicazione di tale regolamento prevista da detta disposizione si applichi unicamente alle sostanze, in quanto tali o in quanto componenti di miscele o articoli, che sono assoggettate a controllo doganale e che non sono sottoposte ad alcun trattamento o ad alcuna trasformazione, qualora tali sostanze siano poste in una delle situazioni espressamente menzionate da detta disposizione.
La Corte, nel rispondere al quesito, ha osservato che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento REACH tale regolamento non si applica alle sostanze “assoggettate a controllo doganale, purché non siano sottoposte ad alcun trattamento o ad alcuna trasformazione e che siano in deposito temporaneo o in zona franca o in deposito franco in vista di una riesportazione, oppure in transito”.
Ne consegue, per la Corte, che il regolamento REACH non si applica alle sostanze presentate in dogana che soddisfino una duplice condizione, vale a dire, in primo luogo, che tali sostanze non siano sottoposte ad alcun trattamento o ad alcuna trasformazione e, in secondo luogo, che esse siano poste in una delle situazioni menzionate in tale disposizione.
Nel caso oggetto del giudizio, la sostanza di cui trattasi era stata vincolata al regime del deposito doganale e non vi era stato alcun regime doganale precedente.
Orbene, affinché sia applicabile l’esclusione dall’ambito di applicazione del regolamento REACH enunciata all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento in parola, è necessario che la sostanza in questione sia posta in una delle situazioni menzionate in tale disposizione, vale a dire il deposito temporaneo, il collocamento in zona franca o in un deposito franco in vista della sua riesportazione oppure il transito.
Dato che il regime del deposito doganale non rientra in una di tali situazioni, la Corte ha proceduto a verificare se tale regime potesse nondimeno, ai fini della delimitazione dell’ambito di applicazione del regolamento REACH, essere equiparato a una delle suddette situazioni.
La corte ha concluso che tale equiparazione non sia possibile: per quanto riguarda la custodia temporanea, la Corte ha rilevato che essa è una situazione alternativa all’immissione in un regime doganale, e quindi anche al magazzinaggio in un deposito doganale.
Per quanto riguarda il regime relativo al collocamento di merci in zona franca, quale menzionato all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento REACH, sebbene tale regime rientri, al pari del deposito doganale, nei regimi di deposito oggetto del capo 3 del titolo VII del codice doganale, esso è tuttavia disciplinato da un’altra sezione di tale capo, ossia la sezione 3 di quest’ultimo, che contiene gli articoli da 243 a 249 di detto codice. Di conseguenza questi due regimi doganali si escludono a vicenda.
Per quanto riguarda il regime del deposito franco, anch’esso menzionato all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento REACH, tale regime, all’epoca dei fatti all’origine del giudizio, non era più previsto dal codice doganale.
Infine, il regime di transito costituisce un regime doganale specifico, diverso dai regimi di deposito, rientrante nel capo 2 del titolo VII del codice doganale e che quindi, a sua volta, non può essere equiparato al regime del deposito doganale.
Di conseguenza, poiché tale disposizione non è applicabile alle sostanze soggette al regime del deposito doganale, la Corte ha concluso che dette sostanze rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento REACH, cosicché esse devono essere considerate importate, ai sensi dell’articolo 3, punto 10, del regolamento in parola, dal momento in cui esse sono introdotte fisicamente per la prima volta nel territorio doganale dell’Unione.
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio ha invece chiesto alla Corte di Giustizia, in sostanza, se l’articolo 3, punti 10 e 11, e l’articolo 6 del regolamento REACH debbano essere interpretati nel senso che l’acquirente di più di una tonnellata all’anno di una sostanza importata nell’Unione e rientrante nell’ambito di applicazione di tale regolamento non sia tenuto a presentare esso stesso la domanda di registrazione di tale sostanza qualora un’altra persona stabilita nell’Unione abbia assunto la responsabilità dell’importazione nell’Unione di detta sostanza.
La Corte ha rilevato che, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento REACH, incombe all’importatore di una sostanza in quantitativi pari o superiori a una tonnellata all’anno presentare una domanda di registrazione all’ECHA.
Al riguardo, dalla formulazione dell’articolo 3, punti 10 e 11, del regolamento REACH risulta che, ai fini di quest’ultimo, da un lato, un’ “importazione” è l’ “introduzione fisica [di una sostanza] nel territorio doganale [dell’Unione]” e, dall’altro, un “importatore” è “ogni persona fisica o giuridica stabilita [nell’Unione] responsabile dell’importazione”.
Sebbene non si possa escludere che la responsabilità dell’introduzione fisica di sostanze nel territorio doganale dell’Unione possa essere attribuita a più persone fisiche o giuridiche stabilite nell’Unione, secondo la Corte una siffatta circostanza non può tuttavia portare a un’interpretazione dell’articolo 3, punto 11, e dell’articolo 6 del regolamento REACH nel senso che ciascuna di tali persone debba presentare una domanda di registrazione per tali sostanze.
Certamente, lette alla luce del “considerando 17” del regolamento in parola, tali disposizioni mirano a far sì che tutte le informazioni pertinenti disponibili sulle sostanze sottoposte a detto regolamento siano raccolte al fine di contribuire all’individuazione delle proprietà pericolose di tali sostanze. Pertanto, qualsiasi quantitativo a partire da una tonnellata all’anno di una siffatta sostanza fabbricata o importata nell’Unione deve essere registrato. Ciò posto, affinché tale obiettivo sia raggiunto, non è necessario che più persone qualificabili come “importatore” presentino, nell’ambito di una stessa importazione, una domanda volta alla registrazione delle sostanze di cui trattasi. Purché la sua domanda di registrazione sia completa, è sufficiente che una sola di tali persone adempia all’obbligo derivante dall’articolo 6, paragrafo 1, del medesimo regolamento.
Dunque, una persona nella catena di approvvigionamento può assumere, in presenza di determinate condizioni, la responsabilità dell’importazione e della registrazione di una sostanza a norma del regolamento REACH, ma tale responsabilità non può essere assunta al fine di eludere gli obblighi derivanti dal regolamento REACH mediante una ripartizione del quantitativo di tale sostanza tra diversi importatori, di modo che il quantitativo così attribuito a ciascuno di essi sia inferiore alla soglia dell’obbligo di registrazione o a una delle soglie che richiedono la fornitura di informazioni più dettagliate.
Dall’articolo 10 del regolamento REACH emerge inoltre che una domanda di registrazione di una sostanza deve essere corredata da un fascicolo completo e dettagliato su tale sostanza nonché da una relazione sulla sicurezza chimica di detta sostanza e, d’altro canto, dall’articolo 22, paragrafo 1, primo comma, di detto regolamento si evince che il dichiarante è tenuto, in presenza di determinate circostanze, ad aggiornare di propria iniziativa senza indebito ritardo la sua registrazione con le nuove informazioni pertinenti e presentare la stessa all’ECHA.
Ne consegue che l’assunzione della responsabilità dell’importazione di una sostanza, ai sensi dell’articolo 3, punto 10, del regolamento REACH, presuppone il legittimo affidamento di tutti gli operatori coinvolti in tale importazione nel fatto che la persona che assume la responsabilità della registrazione di tale sostanza disponga delle conoscenze e della capacità necessarie per adempiere agli obblighi derivanti dagli articoli 10 e 22 del regolamento in parola. Pertanto, tali operatori devono dare prova della diligenza richiesta assicurandosi, prima di detta importazione, che tale persona abbia effettivamente registrato presso l’ECHA il quantitativo di sostanza di cui trattasi.
Nel caso di specie, poiché nessun elemento indica che la Belor abbia assunto la responsabilità dell’importazione della sostanza di cui trattasi nel procedimento principale al fine di eludere gli obblighi previsti dal regolamento REACH e ammettendo che sia dimostrato che la domanda di registrazione presentata da tale società si riferisse, in modo completo, a tale sostanza, quale oggetto della suddetta importazione – circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare – non si può ritenere che la Triferto fosse tenuta a registrare essa stessa detta sostanza.
Già partner per oltre 12 anni in altro prestigioso studio legale tributario italiano, si occupa di diritto doganale e delle accise e di IVA, fornendo consulenza alle imprese ed assistenza innanzi alle autorità giudiziarie italiane e dell’Unione europea in caso di contenziosi.
E’ docente in corsi di formazione in materia doganale e processuale tributaria e dal 2008 al 2016 ha insegnato, quale aggiunto della materia “Legislazione e servizi in materia di dogane”, presso l’Accademia della Guardia di Finanza. Già docente a contratto di “Diritto doganale” presso alcune Università italiane, è autore di articoli, note a sentenze e monografie.