Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, ordinanza 7/3/2024, n. 6153 – Pres. Fuochi Tinarelli, Est. Nonno – XY S.pa. c/ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli

Pagamento differito dei diritti doganali tramite conto di debito – Spedizioniere doganale agente in rappresentanza diretta che abbia omesso il versamento dei diritti dovuti nel termine previsto per insufficiente disponibilità del conto – Responsabilità dell’importatore in relazione all’omesso versamento – Legittimità

L’importatore a conoscenza dell’ammissione del proprio spedizioniere e rappresentante doganale diretto al beneficio del pagamento differito dei diritti doganali ai sensi degli artt. 78 e 79 del d.P.R. n. 43/1973 risponde del comportamento fraudolento del rappresentante, che ha omesso l’ordinario versamento dei diritti doganali da lui dovuti nel termine previsto. Ne consegue che l’importatore è tenuto a versare nuovamente i diritti (nella specie IVA all’importazione) richiesti dall’Amministrazione doganale anche nel caso in cui ne abbia già effettuato – per il tramite del rappresentante – il pagamento, imputato legittimamente, proprio in ragione del peculiare meccanismo di funzionamento del conto di debito, a copertura totale o parziale di pregresse esposizioni dello spedizioniere.

La vicenda decisa dalla Corte di Cassazione con il principio affermato nella massima qui sopra riprodotta concerneva un operatore economico che importava della merce dall’estero ricorrendo ad uno spedizioniere doganale, il quale agiva quale rappresentante diretto dell’importatore. Come tale, il rappresentante presentava la dichiarazione in dogana in nome e per conto dell’importatore e provvedeva al versamento di due assegni circolari in favore dell’Erario costituenti l’importo dovuto a titolo di IVA all’importazione.

Lo spedizioniere, peraltro, si avvaleva della facoltà di differire il pagamento dei tributi doganali ai sensi degli artt. 78 e 79 del d.P.R. n. 43/1973, recante il Testo Unico delle Leggi Doganali.

Secondo le menzionate disposizioni, coloro che effettuano con carattere di continuità operazioni doganali possono ottenere, previo rilascio di apposita cauzione, la libera disponibilità della merce senza il preventivo pagamento dei diritti liquidati, i quali sono annotati, per ciascun operatore, in apposito conto di debito ed assolti periodicamente dall’operatore doganale, normalmente entro trenta giorni.

Nel caso di specie, lo spedizioniere presentava una dichiarazione infedele rispetto a quella concordata con l’importatore, ma comunque provvedeva al versamento dell’intero importo dell’IVA dovuta, importo che veniva regolarmente incassato dall’Erario, peraltro, senza alcuno specifico riferimento all’obbligazione concretamente assolta.

In sede di rettifica, l’Agenzia delle Dogane, in ragione della dichiarazione, sia pure infedele, effettivamente presentata dal rappresentante in nome e per conto della Società importatrice, chiedeva a quest’ultima il pagamento di un residuo del debito d’imposta, in quanto il pagamento effettuato dallo spedizioniere doganale con assegni circolari era stato imputato, parzialmente, ad altri debiti di quest’ultimo, risultanti dal conto acceso presso l’Amministrazione doganale.

In altri termini, il pagamento era confluito nel conto dello spedizioniere (di cui la Società importatrice era a conoscenza, come evidenziato dal giudice di appello e non contestato dalla stessa in giudizio) e, in ragione del meccanismo di funzionamento proprio di questo conto, non era stato imputato alla specifica operazione doganale per la quale l’IVA doveva essere versata, ma, quanto meno parzialmente, alla pregressa esposizione dello spedizioniere, sicché non poteva dirsi che il debito IVA relativo all’operazione di importazione compiuta dalla Società fosse stato assolto.

La Corte ha dunque affermato la legittimità della richiesta all’importatore dell’IVA dovuta, rilevando anche, sotto altro profilo, che la falsa dichiarazione del rappresentante diretto è imputabile all’importatore stesso che è, in questa fattispecie, il dichiarante: come tale, dunque, egli non può che rispondere del comportamento del proprio rappresentante ed è tenuto ad assolvere l’obbligazione relativa al pagamento dell’IVA nei limiti di quanto l’Amministrazione doganale l’ha ritenuta non assolta.

Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, ordinanza 14/2/2024, n. 4099 – Pres. Luciotti, Est. D’Aquino – Agenzia delle Dogane e dei Monopoli c/ XY S.r.l.

Rapporto OLAF – Natura fidefaciente – Condizioni

La fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., attiene unicamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese, ma non anche in relazione alla veridicità sostanziale di documenti esaminati dai pubblici ufficiali. Un rapporto OLAF che non menzioni specifiche attività di analisi relative ai prodotti importati, bensì indagini di carattere statistico, report di dichiarazioni di terzi e valutazioni non può dunque assumere natura fidefaciente (nel caso di specie, dell’effettiva origine di un prodotto).

Rapporto OLAF – Contenuto generico – Valore probatorio – Insussistenza

Il Diritto dell’Unione e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (in particolare, la sentenza del 16/3/2017, causa C.47/16, Veloserviss) escludono che le relazioni o informative OLAF possano rappresentare da sole un elemento di prova sufficiente a determinare il disconoscimento dell’origine di un prodotto, se contengono solo una descrizione generale della situazione in questione, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare. Solo, pertanto, ove la relazione OLAF sia specifica e non generica e, quindi, sia idonea a provare i fatti costitutivi della pretesa tributaria, al pari di qualunque elemento di prova, ancorché sia l’unico elemento a disposizione dell’Autorità Doganale, insorge l’onere della prova contraria del contribuente di contrastare i fatti indicati nella relazione ispettiva.

I principi affermati dalla Corte di Cassazione attengono ad una fattispecie nella quale un operatore economico aveva importato dei tubi e profilati cavi, senza saldatura, di ferro o di acciaio, di sezione circolare di acciai inossidabili, trafilati o laminati a freddo, dichiarati di origine indiana, che – in esito ad una indagine dell’OLAF – erano risultati originari della Repubblica Popolare Cinese, non avendo tali prodotti subito in India una trasformazione tale da conferire alla merce l’origine di tale ultimo Paese,

A fronte del rapporto dell’OLAF, l’Amministrazione doganale provvedeva a recuperare il dazio antidumping nella misura del 71%.

L’importatore ricorreva al Giudice tributario deducendo l’assenza di prova della obbligazione doganale, trattandosi di merce oggetto di lavorazione da parte del fornitore indiano e non avendo il rapporto OLAF sufficienti elementi a supporto.

Il Giudice tributario di primo grado annullava l’accertamento per difetto di prova e la sentenza veniva confermata in grado di appello. L’Agenzia delle Dogane adiva la Corte di Cassazione che respingeva il ricorso, affermando i principi sopra massimati.

Già partner per oltre 12 anni in altro prestigioso studio legale tributario italiano, si occupa di diritto doganale e delle accise e di IVA, fornendo consulenza alle imprese ed assistenza innanzi alle autorità giudiziarie italiane e dell’Unione europea in caso di contenziosi.
E’ docente in corsi di formazione in materia doganale e processuale tributaria e dal 2008 al 2016 ha insegnato, quale aggiunto della materia “Legislazione e servizi in materia di dogane”, presso l’Accademia della Guardia di Finanza. Già docente a contratto di “Diritto doganale” presso alcune Università italiane, è autore di articoli, note a sentenze e monografie.