Se i prodotti importati rispettano le regole di origine preferenziale, un semplice errore di compilazione della dichiarazione doganale non può escludere la possibilità di beneficiare del dazio zero. L’esenzione dai dazi doganali va riconosciuta anche quando, per errore, non è stata indicata l’origine preferenziale delle merci nella bolletta doganale. È questo il principio affermato dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, con la sentenza 17 gennaio 2023, n. 1045. Un principio, destinato ad avere ampia applicazione, che ricorda come la “sostanza” debba prevalere sulla “forma”.
Com’è noto, l’origine doganale identifica il Paese in cui il bene è venuto a esistenza o è stato realizzato. Le regole di origine preferenziale prevedono l’applicazione di un trattamento daziario agevolato per i prodotti originari dei Paesi con i quali l’Unione Europea ha concluso un accordo di libero scambio (Free Trade Agreements, FTA). L’origine preferenziale consente all’operatore di beneficiare dell’esenzione o della riduzione dei dazi doganali, secondo le aliquote indicate nella Taric (Tariffa integrata della Comunità europea).
La corretta applicazione delle regole di origine preferenziale riveste un ruolo cruciale nella pianificazione aziendale. L’origine preferenziale rappresenta, infatti, uno degli elementi alla base della scelta del canale di approvvigionamento del prodotto o del luogo di localizzazione degli impianti produttivi e consente di usufruire di rilevanti vantaggi economici.
In questo ambito, è indispensabile che gli spedizionieri doganali forniscano consulenza e assistenza alle imprese importatrici. Soltanto attraverso la corretta determinazione della voce doganale applicabile alla merce e la verifica delle regole di origine applicabili al prodotto, è possibile fruire delle riduzioni daziarie previste dagli Accordi di libero scambio.
Oltre al puntuale rispetto delle regole di origine contenute negli Accordi di libero scambio è indispensabile anche essere in possesso di documenti idonei a comprovare che i beni importati possiedano tutti i requisiti per essere considerati di origine preferenziale. Anche in questo caso, il ruolo del doganalista è fondamentale per evitare di incorrere in una contestazione.
Nel caso esaminato dal giudice milanese, l’importatore, a causa di un mero errore materiale, non aveva allegato alla dichiarazione doganale di importazione la fattura con l’attestazione di origine giapponese della merce. A seguito dell’operazione, la Società aveva pertanto, richiesto la revisione dell’accertamento su istanza di parte ai sensi dell’art. 173, par. 3, CDU (Reg. Ue 952/2013), integrando la dichiarazione doganale con la prova di origine necessaria e chiedendo il rimborso del maggior dazio erroneamente versato.
In particolare, l’importatore aveva evidenziato che l’articolo 17, paragrafo 3 dell’accordo di partenariato tra UE e Giappone, prevede che l’autorità del Paese importatore non dovrebbe respingere una richiesta di trattamento tariffario preferenziale “per errori materiali o discrepanze di scarsa importanza nell’attestazione di origine”. Molti accordi di libero scambio prevedono, infatti, la possibilità di presentare a posteriori la prova dell’origine, nel caso in cui tale attestazione non sia stata rilasciata al momento dell’esportazione a causa di errori, omissioni involontarie, circostanze particolari, o nell’ipotesi di mancata accettazione all’atto dell’importazione per motivi tecnici.
L’Agenzia delle dogane ha, invece, negato il rimborso dei dazi erroneamente versati dall’importatore. Ad avviso della dogana, la mancata allegazione della fattura contenente l’attestazione dell’origine rilasciata dall’esportatore, costituirebbe una incongruenza sostanziale (e non meramente formale) talmente grave da non consentire l’applicazione del trattamento tariffario favorevole.
Con la sentenza in commento, la Corte tributaria milanese ha affermato che anche una dichiarazione di origine “tardiva” dà diritto all’applicazione del trattamento preferenziale.
Un principio già riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione, secondo la quale “il diritto all’applicazione del dazio preferenziale deve essere riconosciuto anche laddove taluni adempimenti procedurali non siano stati assolti secondo la consueta scansione temporale, qualora sussista la produzione di valida prova sull’origine preferenziale volta a dimostrare che i prodotti abbiano tutti i requisiti richiesti dalla normativa di riferimento per essere considerati di tale origine” (Corte Giust. trib. I grado Milano, 17 gennaio 2023, n. 1045; nello stesso senso Cass., sez. V, ord. 19 dicembre 2019, n. 33958).
In caso di errore, pertanto, l’origine preferenziale della merce può essere provata anche successivamente all’importazione, attraverso una fattura che riporti un’attestazione da cui si evinca che le merci sono originarie del Giappone.
Ciò in quanto, un’irregolarità di natura meramente procedurale, che non coinvolge l’origine della merce, non può determinare l’applicazione di un dazio previsto per i Paesi terzi. Diversamente, risulterebbe violato il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, secondo cui un’irregolarità meramente formale non può giustificare l’applicazione di un regime impositivo sproporzionato, dovendosi privilegiare il profilo sostanziale dell’operazione.
Sul punto, sia la Corte di Giustizia europea che la Corte di Cassazione hanno chiarito che un adempimento formale non può condurre all’applicazione di un regime impositivo diverso da quello spettante sulla base della fattispecie sostanziale (Cass., sez. V, 28 giugno 2019, nn. 17513 e 17514; Cass., sez. V, 11 giugno 2019, n. 15634). L’Agenzia delle dogane, pertanto, non può negare un diritto dell’operatore “laddove tale autorità disponga di tutte le informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali relativi all’esercizio del diritto in parola siano soddisfatti” (Corte di Giustizia, 15 settembre 2016, C-516/14).
Deve quindi attribuirsi maggior rilievo alla “sostanza” rispetto alla “forma”.