(prima parte)

Gli accordi commerciali con i Paesi Terzi sono parte fondamentale della politica dell’Unione Europea. Tali accordi non hanno il solo fine di creare opportunità commerciali e superare le barriere tariffarie ma anche quello di promuovere i valori fondanti dell’Unione Europea, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la salvaguardia dell’ambiente.

L’Unione ha concluso 47 accordi preferenziali con 79 partner, accordi che in ogni caso garantiscono un commercio equo e che proteggono i produttori e le imprese europee da pratiche commerciali scorrette messe in atto da operatori terzi, nel rispetto dei principi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

L’Unione Europea, secondo i dati del Consiglio Europeo 2020 si conferma leader mondiale negli scambi di beni e servizi con una quota del 17% sul totale mondiale, con un aumento del 26% in dieci anni per quanto riguarda lo scambio di beni e addirittura del 50% per i servizi.

L’U.E., sempre secondo i dati del Consiglio riferiti al 2020, è il secondo maggior esportatore ed il terzo maggior importatore; per quanto riguarda le esportazioni la parte del leone è fatta da macchinari, autovetture e prodotti chimici.

Il Consiglio Europeo svolge un ruolo fondamentale quando si parla di negoziati economici, con il c.d. “mandato di negoziato” autorizza la Commissione Europea all’apertura del processo e ne definisce obiettivi, ambito ed eventuale limite temporale; la Commissione negozia l’accordo in stretta collaborazione con Consiglio e Parlamento Europeo ed infine, dopo l’autorizzazione del Parlamento Europeo, il Consiglio adotta la decisione relativa all’adozione dell’accordo.

Dagli accordi conclusi nasce poi il Comitato Misto, un organo costituito da esponenti dell’Unione Europea e del Paese o gruppo di Paesi partner, che ha il compito di verificare la corretta applicazione e interpretazione dell’accordo e di discutere tutte le questioni che dovessero presentarsi.

Negli anni il numero di accordi preferenziali adottati è notevolmente aumentato, così come sono evoluti gli obiettivi, la crescita economica è sicuramente importante ma la collaborazione in termini di commercio diviene strumento per veicolare i valori fondanti dell’Unione, in particolare il rispetto dei diritti Umani, dello stato di diritto e del rispetto dell’ambiente.

Il Primo accordo preferenziale siglato è quello entrato in vigore nel 1973 (pubblicato in G.U.C.E. L 300 del 31 dicembre 1972, che per altro contiene anche gli accordi con Austria e Regno di Svezia) che vede contraente la Svizzera, ancora oggi risulta essere tra i più importanti e, nonostante la data di adozione, consente di effettuare proficuamente scambi commerciali che rappresentano quasi il 7% del totale, la Svizzera secondo l’ultima rilevazione è il quarto partner commerciale della UE.

L’obiettivo economico dell’accordo è chiaro fin dal preambolo, si legge infatti che, la Comunità Europea e la Confederazione Svizzera “DESIDEROSE di consolidare e di estendere, in occasione dell’ allargamento della Comunità economica europea, le relazioni economiche esistenti tra la Comunità e la Svizzera e di assicurare, nel rispetto di condizioni eque di concorrenza, lo sviluppo armonioso del loro commercio, allo scopo di contribuire all’opera della costruzione europea, RISOLUTE pertanto ad eliminare gradualmente gli ostacoli alla parte essenziale dei loro scambi, conformemente alle disposizioni dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio concernenti la creazione di zone di libero scambio” ed anche l’articolo 1 recita “promuovere, mediante l’espansione degli scambi commerciali reciproci, lo sviluppo armonioso delle relazioni economiche tra la Comunità economica europea e la Confederazione svizzera e di favorire in tal modo nella Comunità e in Svizzera il progresso dell’ attività economica, il miglioramento delle condizioni di vita e di occupazione, l’ aumento della produttività e la stabilità finanziaria”

Pare quindi evidente che, in, questa prima fase l’obiettivo di promozione, espansione e crescita economica risultava essere fondamentale per la Comunità Europea, questi primi accordi erano volti in particolare alla riduzione e progressiva abolizione delle tariffe, cosa che avrebbe determinato un più facile accesso al mercato ed una maggiore stabilità economica.

I primi accordi di questo genere nascono agli inizi degli anni ’70 con la Svizzera, la Norvegia per non dimenticare Austria e Svezia entrate poi a far parte dell’Unione, le difficoltà interne alla UE e la situazione internazionale hanno di fatto rallentato lo sviluppo di questi accordi che in ogni caso rappresentano la base dell’attività internazionale dell’Unione.

Bisognerà attendere il 1995 per vedere un ulteriore progresso, Il processo di Barcellona, pietra miliare del partenariato Pan-Euro-Mediterraneo, rappresenta anche una fondamentale presa di coscienza dell’Unione relativamente alle conseguenze che un’attenta politica di cooperazione internazionale può avere; i pilastri fondamentali su cui si base la dichiarazione di Barcellona sono la creazione di una zona di pace e stabilità fondata sui valori democratici e di rispetto dei diritti umani, la creazione di un area di libero scambio capace di avviare un progressivo sviluppo dell’area mediterranea, un maggiore scambio culturale rispettoso delle differenze e delle peculiarità dei Paesi Mediterranei.

Pur considerando gli accordi nati dal processo di Barcellona come accordi di prima generazione è comunque evidente il cambio di passo nelle volontà del Consiglio che pone tra gli obiettivi la pace e la stabilità.

Tra gli accordi di prima generazione si annoverano quelli negoziati prima del 2006, con Svizzera e Norvegia (1972/73), i paesi del Partenariato Euromediterraneo (1995 e successivi), l’Unione Doganale con la Turchia (1995), Messico e Cile (2000 – 2003), l’accordo di Stabilizzazione ed Associazione dei Balcani (2000 – 2016).

Dopo il 2006, inizia una nuova fase e vengono negoziati accordi di nuova generazione, si mantiene l’attenzione sullo scambio di merci ma si pone l’attenzione anche sullo sviluppo sostenibile, sui diritti di proprietà intellettuale ed i servizi.

Gli accordi basati su questo modello sono quelli conclusi con Corea del Sud, Colombia, Ecuador, Perù, Canada, America Centrale (Panama, Costa Rica, Honduras, Guatemala, Nicaragua and El Salvador) e rappresentano una parte importante dello scambio commerciale dell’Unione.

Possiamo dire che, in particolare dal 2000, l’Unione è impegnata in un progressivo sviluppo degli accordi preferenziali che rappresentano una vittoria sul neo-protezionismo, sul punto sono particolarmente importanti ed evidenziano la volontà dell’Unione le parole pronunciate in occasione della pubblicazione della “Relazione sull’attuazione degli accordi commerciali della UE” del 2018 della Commissaria responsabile per il commercio, Cecilia Malmström, che ha dichiarato: “In questi anni l’UE si è impegnata a fondo nella creazione della più grande rete mondiale di accordi commerciali. Come dimostrano recenti fatti e dati, questo approccio si sta rilevando fruttuoso. Gli accordi contribuiscono a rafforzare l’economia europea, rendendo più facile fare affari in tutto il mondo, e al contempo sostengono l’occupazione a casa nostra. Il crescente numero di accordi strategici che abbiamo concluso ci ha aperto molte porte, assicurando un vantaggio competitivo alle imprese europee sui principali mercati. In aggiunta, contribuisce a promuovere il rispetto dei diritti umani e del lavoro, oltre che delle norme ambientali. Dobbiamo continuare a concentrarci sul monitoraggio dei risultati, per garantire il rispetto delle norme in vigore e permettere alle imprese di trarre il massimo beneficio dagli accordi.”

Nel periodo della crisi pandemica e con l’aumento spropositato dei noli marittimi, si è verificato un importante ricorso al re-shoring che ha riportato in Europa o nei paesi vicini parte delle attività produttive delocalizzate negli anni passati, questo è stato possibile anche grazie agli accordi stipulati che hanno reso economicamente sostenibile il ricorso a siti produttivi diversi da quelli del far east.

Un ulteriore tipologia di accordi è formata dai DCFTAs (Deep and Comprehensive Free Trade Areas) volte a creare zone di libero scambio globali ed approfondite con i paesi limitrofi alla UE e ne rafforzano i legami.

In questa tipologia di accordi rientrano quelli siglati con Moldavia, Georgia ed Ucraina, il fine è quello di traghettare i paesi verso una completa integrazione Europea dei tre stati in ossequio alla politica di vicinato Europea.

L’unione rappresenta il principale partner commerciale dei tre stati, in particolare gli scambi commerciali con i paesi dell’Unione rappresentano il 56% del totale per la Moldova, il 42% per l’Ucraina (dato precedente all’attuale crisi) ed il 27% per la Georgia.

In tutti e tre i casi, l’impatto economico della conclusione degli accordi ha avuto grande rilevanza, portando in breve tempo ad una crescita economica dei paesi coinvolti ed un aumento dell’interscambio di beni e servizi.

Troviamo, inoltre, gli Accordi di Partenariato Economico (EPA) i quali mirano allo sviluppo dei Paesi dell’Africa dei Caraibi e del Pacifico; risalenti all’accordo di Cotonou e stipulati in linea con i dettami WTO, mirano non solo allo sviluppo del commercio in senso stretto, ma anche allo sviluppo delle economie dei Paesi ACP, tenendo conto delle situazioni economiche e sociopolitiche di ognuno di essi.

L’impatto di questi accordi si misura in una crescita sensibile di esportazioni verso l’Unione Europea. Secondo i dati della Commissione Europea si registra, ad esempio, un aumento di export di tè da parte dei Paesi caraibici pari all’89%.

Ancora, l’esportazione di prodotti tessili dal Madagascar verso l’Unione Europea è aumentata del 65% da quanto è stato siglato l’accordo EPA.

Gli accordi della UE vengono negoziati secondo i principi sanciti dall’OMC, antidiscriminazione, prevedibilità e concorrenza equa, secondo questi principi è tanto importante evitare la costituzione di barriere commerciale così come è importante abbattere quelle esistenti.

Gli argomenti a favore della costituzione di legami commerciali, politici ed economici con i paesi terzi sono molto maggiori rispetto ai possibili argomenti contrari, avere un accordo stabile permette di aprire nuovi mercati per le merci Unionali, aumentare le opportunità di investimento e tutelare gli investimenti già in essere, rendere meno caro il commercio eliminando dazio e riducendo la burocrazia, rendere più rapido il commercio applicando regole comuni, non da ultimo, la fissazione di regole comuni permette di incentivare il miglioramento sociale, lavorativo e democratico dei paesi terzi.

Il rispetto dei principi internazionali sanciti dall’OMC permette poi di evitare le conseguenze negative di una liberalizzazione incontrollata degli scambi, inoltre, i benefici economici degli accordi sono evidentemente maggiori rispetto al mancato introito dei diritti doganali, anche se questi, soprattutto in alcuni paesi terzi rappresentano una parte importante del PIL.

Un altro punto messo in discussione è il dumping sociale dei paesi terzi, sul punto, va evidenziato che un attenta politica economica è in grado di superare anche questa ultima perplessità, inoltre, nonostante quanto sostenuto anche da autorevoli studiosi, deve essere rilevato che, l’Accordo Istitutivo della WTO è inequivocabile nel delineare quello che è stato definito da J. Ruggie, embedded liberalism, ossia l’equilibrio tra esigenze di liberalizzazione del mercato e tutela delle esigenze dell’individuo.

Non si tratta quindi di una espansione economica in cui il rispetto delle norme sociali è solo parte del bilanciamento costi/benefici, ma si ritiene sia necessario che il rispetto dei diritti umani e della sostenibilità sociale ed ambientale sia parte integrante del processo di sviluppo.

Da questo punto di vista, l’Unione Europea negli accordi di nuova generazione ha costantemente messo in primo piano i principi ed i valori Europei in termini di rispetto dei diritti umani, democrazia, diritto del lavoro e rispetto dell’ambiente.

Edoardo Barbero – Alessandro Cestaro