Il codice doganale dell’Unione (cdu), in vigore dal 1° maggio 2016, stabilisce, come noto, che la base primaria per il valore in dogana delle merci è il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l’esportazione verso il territorio doganale dell’Unione, eventualmente adeguato[1].

Con particolare riferimento alle royalties, il cdu prevede che, per determinare il valore in dogana, il prezzo effettivamente pagato per i beni importati è integrato dai “corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare[2]. Il valore in dogana, infatti, deve riflettere il valore reale delle merci importate, considerando tutti i fattori economicamente rilevanti[3].

I diritti di licenza, pertanto, concorrono alla formazione della base imponibile se non sono inclusi nel prezzo pagato, se sono riferibili ai beni oggetto di valutazione e se l’acquirente è tenuto a pagarli, direttamente o indirettamente, come condizione di vendita.

Con riferimento a tale ultimo requisito, il regolamento di esecuzione 15 novembre 2015, n. 2447 (RE) individua espressamente i casi in cui i corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come “condizione di vendita”.

In particolare, l’art. 136, par. 4, RE prevede che le royalties devono essere incluse nel valore della merce principalmente quando il venditore o una persona a esso collegata chiede all’acquirente di effettuare il pagamento dei diritti di licenza ovvero quando le merci non possono essere vendute all’importatore o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi al licenziante.

In relazione alla prima condizione, di per sé sola sufficiente a determinare la daziabilità dei diritti di licenza, l’art. 127 RE stabilisce che due o più persone si considerano “legate” se una è in grado di imporre orientamenti alla seconda.

Il controllo, secondo costante giurisprudenza di legittimità, deve essere inteso “in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato[4].

Ai fini dell’imponibilità delle royalties in dogana, pertanto, occorre accertare se esista un’effettiva ingerenza del licenziante sui fornitori extra-UE. E invero, la presenza di un contratto di licenza non comporta che le royalties siano automaticamente assoggettate a tassazione, giacché deve essere sempre provato, dall’Amministrazione doganale, l’esercizio di un potere di orientamento da parte del titolare del marchio nei confronti dei produttori esteri[5].

Il controllo di qualità

Se il requisito del legame, di cui all’art. 136, par. 4, RE, deve essere dimostrato dall’autorità doganale, occorre tuttavia porre attenzione a quale tipologia di controllo rilevi ai fini doganali.

Il controllo idoneo a rappresentare il presupposto per l’assoggettamento delle royalties ai dazi, infatti, non è determinato dal controllo sulla qualità della produzione, che ormai rientra nella normale prassi commerciale, ma esclusivamente dal controllo esercitato dal licenziante sul produttore[6].

Non rilevano, in particolare, le clausole contrattuali che subordinano la produzione dei beni licenziati all’approvazione scritta, da parte del titolare del marchio, dei campioni o al rispetto di elevati standard qualitativi, quanto la presenza di clausole contrattuali che prevedono penetranti forme di ingerenza del licenziante su tutta la filiera produttiva e distributiva estera, quali il controllo sulla produzione, sulla logistica e sulla consegna delle merci, sul rifornimento dei materiali, sui possibili acquirenti e sui prezzi di vendita.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha chiarito che “il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione (…) qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi di licenza[7].

Sussiste, pertanto, il legame tra il titolare del marchio e il fornitore extracomunitario quando, in virtù dell’accordo di licenza, il licenziatario può far fabbricare i prodotti licenziati da soggetti terzi, soltanto previa approvazione scritta degli stessi da parte del licenziante e in base alla disciplina, contrattualmente prevista, della scelta dei fornitori, di talché l’intera operazione risulta conformata dal licenziante, che incide, in maniera determinante, sull’individuazione e sull’attività dei produttori.

Al contrario, se il controllo non eccede l’accertamento dei requisiti qualitativi richiesti dal marchio o la verifica, all’interno degli stabilimenti produttivi, del rispetto del codice etico, idonei a tutelare la reputazione del licenziante, le royalties non devono essere incluse nel valore doganale della merce importata.

Proprio in tal senso si è espressa la Commissione tributaria regionale della Liguria, la quale, con la sentenza in commento, ha affermato che “le licenzianti non hanno alcun indirizzo a ingerirsi nella scelta dei produttori se non per gravi violazioni degli stessi, nel controllo degli stabilimenti, nella limitazione delle quantità del prodotto, nel prezzo. In definitiva, il pagamento delle royalties non costituisce condizione per la vendita, non abbiamo un’ingerenza diretta della licenziante sulla licenziataria la cui attività d’impresa non è sindacata. Il contratto è fra la licenziante sulla licenziataria non con i produttori. (…) Siamo in presenza, ai fini della daziabilità delle royalties, di un mero controllo di qualità della merce prodotta con il marchio oggetto di licenza, finalizzato alla protezione dell’immagine del segno distintivo presso i consumatori, non di un controllo sull’attività produttiva”.

I giudici di merito, pur avendo rilevato che la licenziante poteva verificare un certo numero di campioni per approvare il prodotto finale, nonché, in caso di violazioni del codice di comportamento, poteva richiedere il cambio del fabbricante, hanno concluso che tali clausole contrattuali non eccedessero affatto il controllo di qualità. Si tratta di verifiche che riflettono la normale prassi commerciale, dirette esclusivamente a garantire gli elevati standard qualitativi richiesti dal marchio e che non comportano alcuna ingerenza del licenziante sulla scelta dei produttori- esteri. Le facoltà riconosciute al titolare della licenza, infatti, si risolvono in un controllo di mera qualità del prodotto e, come tale, non implicante l’esistenza di un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva.

Tale sentenza si pone in linea con l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui non rilevano le clausole finalizzate alla tutela, a favore della licenziante, di caratteristiche estetiche e qualitative che garantiscono la corrispondenza dei prodotti agli elementi distintivi del marchio per la riconoscibilità e apprezzabilità dei beni commercializzati dal licenziatario[8]. Tali clausole, infatti, fanno ricadere sulla licenziataria il rischio dell’eventuale inidoneità della merce a soddisfare i requisiti richiesti dal marchio, a comprova del fatto che il controllo non si realizza nel corso del ciclo produttivo, lasciando il fornitore estero pienamente responsabile solo nei confronti del licenziatario[9]. E invero, il riscontro delle qualità e delle caratteristiche che attiene il risultato finale del processo di produzione non incide, di per sé, neppure indirettamente, sull’autonomia delle scelte organizzative e operative del produttore-venditore extra-UE.

I diritti di licenza, pertanto, non devono essere automaticamente inclusi nella base imponibile, ma è necessario valutare la tipologia di controllo che emerge, anche implicitamente, dalla lettura combinata di tutti i documenti che vincolano i soggetti che intervengono nell’operazione internazionale. Partendo dal contratto di licenza, occorre verificare, caso per caso, se il titolare del marchio è in grado di imporre orientamenti al fornitore estero, i quali, per determinare la daziabilità delle royalties, devono eccedere il mero controllo di qualità, idoneo invece a tutelare la reputazione mondiale del licenziante.

[1] Art. 70, par. 1, cdu.

[2] Art. 71, par. 1, lett. c), cdu.

[3] Corte di Giust., 20 dicembre 2017, C-529/16, p. 24, in www.curia.europa.eu.

[4] Ex pluribus, Cass., sez. trib., 9 ottobre 2020, n. 21775.

[5] Corte di Giust., 9 luglio 2020, C-76/19; anche Commissione europea, 28 aprile 2016, Taxud/B4/(2016) 808781.

[6] Cfr. Agenzia delle dogane, circ., 30 novembre 2012, n. 21/D, pagg. 17 e 18.

[7] Cass., sez. V, 6 aprile 2018, n. 8473.

[8] Cass., sez. trib., 30 dicembre 2019, n. 34607; anche Cass., sez. trib., 31 maggio 2019, n. 14994 e 5 giugno 2020, n. 10687.

[9] Cass., sez. trib., 30 dicembre 2019, nn. 34607, 34608, 34610 e 34611, Cass., sez. trib., 13 febbraio 2020, n. 3593, 3594 e 3595.