Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione III, sentenza 19/12/2024, cause riunite C-717/22 e C-372/23 – Pres. Jurimae, Rel. Jaaskinen – Sistem Lux OOD e V. U. c/ Teritorialna direktsia Mitnitsa Burgas
Codice doganale dell’Unione – Articolo 15 – Fornitura di informazioni alle autorità doganali – Violazione della normativa doganale – Articolo 42 – Sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive – Decisione quadro 2005/212/GAI – Confisca di beni, strumenti e proventi di reato – Articolo 2, paragrafo 1 – Confisca – Normativa nazionale che prevede l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di entità compresa tra il 100% e il 200% del valore in dogana delle merci e la confisca di queste ultime indipendentemente da chi ne sia il proprietario – Legittimità – Condizioni
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L’articolo 15 e l’articolo 42, paragrafo 1, del Codice doganale dell’Unione devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che consente di constatare una violazione della normativa doganale dovuta soltanto a una negligenza, costituita dall’inosservanza della forma appropriata di dichiarazione delle merci trasportate. Per contro, tali disposizioni ostano a che, in circostanze del genere, sia inflitta all’autore di detta violazione una sanzione amministrativa di importo corrispondente, come minimo, al valore in dogana delle merci oggetto di tale violazione.
L’articolo 42, paragrafi 1 e 2, del Codice doganale dell’Unione, letto alla luce dell’articolo 17, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di violazione della normativa doganale, oltre all’irrogazione di una sanzione pecuniaria, la confisca delle merci oggetto di tale violazione qualora queste appartengano a una persona alla quale detta violazione è imputabile, a condizione che il regime di sanzioni applicabili a tale violazione sia, nel suo insieme, conforme al requisito di proporzionalità.
L’articolo 2, paragrafo 1, della Decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, deve essere interpretato nel senso che non si applica a una misura di confisca adottata a seguito di una violazione della normativa doganale quando tale violazione non costituisce un reato punibile con una pena privativa della libertà di durata superiore a un anno, bensì un illecito amministrativo.
Il 28 maggio 2021 un agente doganale del posto doganale di Kapitan Andreevo (Bulgaria), situato alla frontiera bulgaro-turca, procedeva al controllo di un autoarticolato con semirimorchio che trasportava tredici bancali con profili in alluminio, caricati in Turchia, constatando che 8 dei bancali trasportati, appartenenti alla Sistem Lux, non erano nei documenti di accompagnamento.
Veniva avviato un procedimento per illecito amministrativo ai sensi dell’articolo 233, paragrafo 1, della legge doganale bulgara, al termine del quale si accertava che V.U., benché presente al momento del carico e della pesatura del carico, non aveva adempiuto l’obbligo ad esso incombente, in quanto autista che effettuava trasporti internazionali, di prendere conoscenza dei documenti fornitigli e di verificarne, in particolare, la conformità con le merci effettivamente trasportate.
V.U. veniva sanzionato per contrabbando doganale amministrativo per l’importo di 73 140,06 leva bulgari (BGN) (circa EUR 37 400), corrispondente al valore doganale dei profili in alluminio rinvenuti negli 8 bancali non dichiarati e la confisca a favore dello Stato, sulla base dell’articolo 233, paragrafo 6, della detta legge doganale, di tali profili di alluminio.
Sia la Società che V.U. presentavano ricorso contro i provvedimenti, rispettivamente, di confisca e di irrogazione della sanzione pecuniaria e il Giudice adito investiva la Corte di Giustizia di diverse questioni pregiudiziali.
Con le prime due è stato chiesto alla Corte, in sostanza, se l’articolo 15 e l’articolo 42, paragrafo 1, del Codice doganale dell’Unione debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che consente di accertare una violazione della normativa doganale a seguito di una mera negligenza, costituita dall’inosservanza della forma appropriata di dichiarazione delle merci trasportate e, in tali circostanze, all’irrogazione all’autore della violazione di una sanzione amministrativa di importo pari almeno al valore in dogana delle merci oggetto di tale violazione.
Nel rispondere nel senso di cui alla prima massima, la Corte ha osservato, in particolare, che l’applicazione di sanzioni ai sensi dell’articolo 42 del Codice doganale si riferisce alla situazione in cui l’inosservanza da parte dell’operatore interessato è commessa per dolo o per negligenza.
Per quanto riguarda le conseguenze di una siffatta inosservanza, spetta a ciascuno Stato membro prevedere, conformemente all’articolo 42, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, in particolare in caso di comunicazione di informazioni inesatte in una dichiarazione in dogana. Tuttavia, conformemente al requisito di proporzionalità delle sanzioni, previsto da tale articolo, le misure amministrative o repressive adottate ai sensi di tale disposizione non devono eccedere i limiti di quanto necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti da tale Codice, né essere sproporzionate rispetto a tali scopi.
Nel caso sottoposto alla Corte la sanzione pecuniaria prevista all’articolo 233, paragrafo 1, della legge doganale bulgara per l’illecito costituito dal contrabbando doganale è compresa tra il 100% e il 200% del valore in dogana delle merci oggetto di tale illecito, cosicché l’autorità doganale può modulare l’importo di tale sanzione tenendo conto di tutti i fatti e di tutte le circostanze del caso di specie: per la Corte, tuttavia, una sanzione pecuniaria del genere, il cui importo è compreso tra il 100% e il 200% del valore in dogana delle merci, non appare adeguata alla gravità di qualsivoglia violazione essa reprime in quanto, da un lato, eccede i limiti di quanto è necessario per garantire che le merci (nel caso concreto vincolate al regime del transito) non siano sottratte alla vigilanza doganale e, dall’altro, risulta sproporzionata rispetto all’obbligazione doganale che sorge a causa della sottrazione alla vigilanza doganale di merci vincolate a detto regime.
Con quattro ulteriori questioni, il Giudice del rinvio ha poi chiesto alla Corte di chiarire, in sostanza, se l’articolo 42, paragrafi 1 e 2, del Codice doganale dell’Unione, letto alla luce dell’articolo 17, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di violazione della normativa doganale, oltre all’irrogazione di una sanzione pecuniaria, la confisca delle merci oggetto di tale violazione. In caso di risposta negativa, tali giudici hanno poi chiesto di chiarire se una siffatta confisca sia ammessa anche quando tali merci non appartengono all’autore della violazione.
Al riguardo, la Corte ha ribadito la propria giurisprudenza secondo cui una normativa nazionale che consente la confisca di beni appartenenti a un terzo in buona fede utilizzati per commettere un illecito di contrabbando è incompatibile con il diritto di proprietà garantito dall’articolo 17, paragrafo 1, della Carta; per contro, misure di confisca riguardanti i proventi di un illecito o di un’attività illecita o di uno strumento servito per commettere un illecito non appartenente a un terzo in buona fede rientrano nella disciplina dell’uso dei beni, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, terza frase, della Carta.
Al fine di garantire un effetto realmente dissuasivo di un regime di sanzioni amministrative applicabili a una violazione doganale, nel rispetto del requisito di proporzionalità, gli autori di tali violazioni devono essere effettivamente privati dei vantaggi economici derivanti da queste ultime e le sanzioni previste devono consentire la produzione di effetti proporzionati alla gravità di dette infrazioni, in modo da scoraggiare efficacemente chiunque dal commettere infrazioni della stessa natura.
Con l’ultima questione, infine, il Giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l’articolo 2, paragrafo 1, della decisione quadro 2005/212 debba essere interpretato nel senso che esso si applica alla confisca di merci oggetto di una violazione della normativa doganale qualora tale violazione non costituisca un reato, bensì un illecito amministrativo. In caso affermativo, tale giudice chiede, in sostanza, se l’articolo 1, quarto trattino, di tale decisione quadro e l’articolo 2, punto 4, della direttiva 2014/42 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che prevede che una siffatta confisca sia disposta da un’autorità amministrativa.
A tal riguardo, la Corte ha osservato che l’articolo 2, paragrafo 1, della Decisione quadro 2005/212 prevede che ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale di strumenti o proventi di reati punibili con una pena privativa della libertà superiore ad un anno, o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi, sicchè dalla formulazione di tale disposizione si evince che l’ambito di applicazione materiale di tale decisione quadro è limitato ai reati, come risulta anche dal titolo stesso e dal considerando 1 di quest’ultima, i quali fanno riferimento rispettivamente alla “confisca di beni, strumenti e proventi di reato” e alla “criminalità organizzata”. Inoltre, dette disposizioni riguardano solo i reati di una certa gravità, ossia quelli punibili con una pena privativa della libertà superiore a un anno.
Orbene, la Corte ha concluso che la Decisione quadro 2005/212 non è applicabile, neppure per analogia, quando la decisione di confisca è adottata da un’autorità doganale a seguito di un procedimento che non riguarda un reato.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione VIII, sentenza 12/12/2024, causa C-781/23 – Pres. Rodin, Rel. Spineanu-Matei – Malmö Motorrenovering AB c/ Allmänna ombudet hos Tullverket
Codice doganale dell’Unione – Articolo 250 – Regime dell’ammissione temporanea – Articolo 251 – Periodo in cui le merci importate possono rimanere in tale regime – Periodo insufficiente per raggiungere l’obiettivo dell’uso autorizzato – Obbligazione doganale sorta a causa dell’inosservanza del termine di tale periodo – Condizioni di proroga di detto periodo – Importazione di un’automobile da corsa
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L’articolo 251 del Codice doganale dell’Unione, come modificato dal regolamento (UE) 2019/474 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, deve essere interpretato nel senso che la proroga del periodo in cui una merce può rimanere vincolata al regime dell’ammissione temporanea, stabilito in forza del paragrafo 1 di tale articolo, non richiede l’esistenza di “circostanze eccezionali”, ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo, qualora detta proroga non abbia per effetto che il periodo totale in cui tale merce rimane in detto regime superi la durata massima di ventiquattro mesi prevista al paragrafo 2 dello stesso articolo.
Il 30 aprile 2019 la Malmö Motorrenovering introduceva in regime di ammissione temporanea un’automobile da corsa dagli Stati Uniti alla Svezia, per utilizzarla in talune competizioni che si sarebbero svolte nell’Unione, l’ultima delle quali doveva aver luogo l’8 settembre 2019, per riesportarla successivamente. L’autorizzazione ottenuta a tale scopo da parte dell’amministrazione doganale prevedeva la riesportazione entro il 30 luglio 2019, ossia prima della data di quest’ultima competizione; non è noto il motivo per cui la riesportazione avesse tale data, ma il regime veniva chiuso soltanto il 19 settembre 2019.
Non veniva constatato alcun tentativo di frode imputabile alla Malmö Motorrenovering riguardo all’inosservanza di tale termine, ma la dogana svedese notificava un’obbligazione doganale dovuta alla menzionata inosservanza, a fronte della quale la Società ricorreva in giudizio.
Il giudice adito decideva di sottoporre alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale volta a comprendere, in sostanza, se l’articolo 251 del codice doganale dovesse essere interpretato nel senso che la proroga del periodo in cui una merce può rimanere vincolata al regime di ammissione temporanea, stabilito in forza del paragrafo 1 di detto articolo, richieda l’esistenza di “circostanze eccezionali”, ai sensi del paragrafo 3 di detto articolo, qualora tale proroga non abbia l’effetto che la durata complessiva del vincolo di tale merce al regime suddetto superi il periodo massimo di ventiquattro mesi previsto al paragrafo 2 dello stesso articolo.
Nel fornire l’interpretazione di cui alla massima che precede, la Corte ha rilevato che, dal combinato disposto dei paragrafi da 1 a 3 dell’articolo 251 del Codice doganale risulta che, sebbene il paragrafo 1 di tale articolo enunci l’obbligo di fissare un periodo sufficiente per il quale le merci importate possono rimanere nel regime dell’ammissione temporanea, il paragrafo 2 si limita a prevedere, “salvo che sia altrimenti disposto”, una durata massima di ventiquattro mesi per tale periodo di permanenza. Il paragrafo 3 dello stesso articolo costituisce una disposizione derogatoria di tal genere, in quanto permette la proroga di tale periodo oltre tale durata massima in presenza di “circostanze eccezionali”. Detto paragrafo 3 rinvia, pertanto, utilizzando il singolare, ad un solo periodo, la cui durata risulta dall’applicazione congiunta dei paragrafi 1 e 2.
Pertanto, l’esistenza di “circostanze eccezionali” è necessaria solo nella situazione in cui la durata massima di ventiquattro mesi si riveli insufficiente per la realizzazione dell’obiettivo dell’uso autorizzato. In una situazione siffatta, la proroga del periodo di permanenza potrebbe essere concessa qualora le giustificazioni fornite dal titolare dell’autorizzazione doganale a sostegno della sua domanda potessero essere qualificate come “circostanze eccezionali”, in esito ad un esame conforme ai requisiti dell’interpretazione restrittiva del regime dell’ammissione temporanea. In conformità all’articolo 251, paragrafo 4, del codice doganale, una proroga siffatta non dovrebbe avere l’effetto che tale periodo superi i dieci anni, salvo in caso di evento imprevedibile.
Quindi risulta dalla formulazione dell’articolo 251 del codice doganale che l’esistenza di “circostanze eccezionali”, ai sensi di detto articolo 251, paragrafo 3, è necessaria, qualora la durata cumulativa del periodo di permanenza inizialmente stabilito in forza del paragrafo 1 di detto articolo, unitamente alla proroga richiesta di tale periodo, superi la durata massima di ventiquattro mesi prevista al paragrafo 2 dello stesso articolo.
Nel caso oggetto dell’esame da parte della Corte, il periodo di riesportazione stabilito dall’amministrazione doganale non era sufficiente per raggiungere l’obiettivo dell’uso autorizzato, ma un periodo inferiore a ventiquattro mesi sarebbe stato sufficiente per raggiungerlo e l’inosservanza delle norme applicabili al regime dell’ammissione temporanea non era dovuta a un’intenzione fraudolenta. Su tali presupposti, la Malmö Motorrenovering aveva chiesto che tale obbligazione doganale fosse considerata estinta.
Ebbene, come risulta dall’interpretazione dell’articolo 251 del codice doganale accolta dalla Corte, una proroga del periodo inizialmente fissato in forza del paragrafo 1 di tale articolo avrebbe potuto essere concessa dalle autorità doganali fino alla data in cui l’automobile di cui trattasi è stata riesportata, ossia il 19 settembre 2019, senza che fosse necessaria l’esistenza di circostanze eccezionali, in quanto il periodo iniziale e tale proroga, calcolati congiuntamente, non avrebbero superato la durata massima di ventiquattro mesi prevista al paragrafo 2 di detto articolo. Di conseguenza, se le altre condizioni previste all’articolo 124, paragrafo 1, lettera h), del codice doganale sono soddisfatte, l’obbligazione doganale dovrebbe poter essere considerata estinta.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione VIII, sentenza 5/12/2024, causa C-506/23 – Pres. e Rel. Jaaskinen – Network One Distribution SRL c/ Agenţia Naţională de Administrare Fiscală – Direcţia Generală Regională a Finanţelor Publice Bucureşti e altri
Codice doganale dell’Unione – Nascita e riscossione dell’obbligazione doganale – Riscossione dei dazi antidumping relativi a importazioni provenienti dalla Cina – Riscossione di interessi di mora ai sensi del regolamento n. 952/2013 – Normativa nazionale che prevede l’imposizione di una penalità di mora in aggiunta agli interessi di mora – Possibilità
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L’articolo 114 del Codice doganale dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una prassi amministrativa nazionale in forza della quale una penalità di mora, prevista dalla normativa nazionale, può essere imposta in aggiunta agli interessi di mora previsti da tale articolo.
Tra il 2016 e il 2017, la Network One ha importato in Romania biciclette tradizionali, biciclette elettriche e pezzi di ricambio, per i quali ha effettuato diverse dichiarazioni di immissione in libera pratica indicando la Thailandia come Paese di origine.
A seguito di un controllo doganale effettuato il 30 luglio 2018, la dogana romena concludeva che le merci erano, in realtà, originarie della Cina e procedeva dunque al recupero dei dazi antidumping, applicando altresì un interesse di mora sul dazio ai sensi dell’articolo 114 del codice doganale e, dall’altro, una penalità di mora ai sensi dell’articolo 176 del codice di procedura tributaria.
A fronte del ricorso della Società, il giudice adito ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire, in sostanza, se l’articolo 114 del Codice doganale debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi amministrativa nazionale in forza della quale una penalità di mora, prevista dalla normativa nazionale, può essere imposta in aggiunta agli interessi di mora previsti da tale articolo.
Nel fornire la risposta di cui in massima, la Corte ha osservato che gli interessi di mora previsti dal Codice doganale mirano ad ovviare alle conseguenze derivanti dal superamento di un termine di pagamento e a compensare i vantaggi che l’operatore economico trae indebitamente dal ritardo accumulato per adempiere un debito fiscale, non già a sanzionare un siffatto ritardo. D’altro canto, l’articolo 42, paragrafo 1, del Codice doganale stabilisce, in sostanza, che spetta agli Stati membri sanzionare le violazioni della normativa doganale e che le sanzioni irrogate devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Il paragrafo 2 di detto articolo precisa poi che tali sanzioni possono avere, tra l’altro, la forma di un onere pecuniario imposto dalle autorità doganali.
Nel caso di specie, le penalità di mora previste dall’articolo 176 del codice di procedura tributaria romeno costituiscono una sanzione pecuniaria inflitta al debitore che non ha adempiuto un debito fiscale alla scadenza prevista, sicchè una siffatta sanzione prevista dal diritto nazionale non è, in assoluto, incompatibile con il diritto dell’Unione, fatte salve le verifiche che spetta ai Giudici degli Stati membri effettuare sulla proporzionalità di tale sanzione.
Già partner per oltre 12 anni in altro prestigioso studio legale tributario italiano, si occupa di diritto doganale e delle accise e di IVA, fornendo consulenza alle imprese ed assistenza innanzi alle autorità giudiziarie italiane e dell’Unione europea in caso di contenziosi.
E’ docente in corsi di formazione in materia doganale e processuale tributaria e dal 2008 al 2016 ha insegnato, quale aggiunto della materia “Legislazione e servizi in materia di dogane”, presso l’Accademia della Guardia di Finanza. Già docente a contratto di “Diritto doganale” presso alcune Università italiane, è autore di articoli, note a sentenze e monografie.