l Premio Young Trade Specialist – YITS – è dedicato al miglior paper in tema di commercio internazionale e diritto doganale e mira a valorizzare i contributi di giovani laureandi e neolaureati (da non più di 18 mesi) delle Facoltà di Giurisprudenza, Economia e Commercio, Scienze Statistiche, Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, Ingegneria, Lingue, Scienze della Comunicazione e discipline affini.
Riportiamo di seguito l’elaborato della vincitrice del premio, Marta Galbussera.
Il progetto di riforma della normativa doganale nazionale è nato lo scorso anno con l’approvazione da parte del Parlamento e la successiva pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Legge 9 agosto 2023 n. 111[1]. Con tale atto veniva chiesto al Governo di adottare uno o più decreti legislativi volti a revisionare il sistema tributario vigente, fissando i principi generali e i criteri cardine ai quali aderire nella stesura del nuovo testo.
L’obiettivo posto dal legislatore in materia doganale emergeva chiaramente dall’articolo 11 della legge in esame: era necessario procedere con un riassetto generale del quadro normativo attraverso l’aggiornamento o l’abrogazione delle disposizioni vigenti in conformità al diritto dell’Unione europea. Il dettato normativo e l’evoluzione del commercio internazionale, infatti, correvano su due binari distinti ormai da tempo ed era fondamentale restituire alla normativa doganale un ruolo di primario rilievo all’interno di un contesto in esponenziale crescita. La stessa relazione illustrativa accompagnatoria dello schema di decreto legislativo[2] evidenziava l’obsolescenza dei testi nazionali in vigore e l’importanza di un intervento rapido ed efficace.
Le fondamenta della normativa doganale nazionale erano contenute nel Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale (TULD)[3], approvato nel 1973 e in altri provvedimenti come il Decreto Legislativo 8 novembre 1990, n. 374[4]. Per quanto il legislatore nazionale abbia tentato affannosamente di intervenire a più riprese sulle previsioni normative, l’Unione europea aveva già rivoluzionato in diverse occasioni la disciplina con l’entrata in vigore dapprima del Regolamento (CEE) n. 2913/92[5] e in un secondo momento del Regolamento (UE) n. 952/2013[6] e dei relativi regolamenti delegati e di esecuzione. Il susseguirsi di tali modifiche e gli sforzi operati dall’Unione europea per adeguare la normativa al progresso del commercio internazionale hanno mostrato con il passare del tempo una sempre maggiore inadeguatezza delle disposizioni nazionali e una progressiva disapplicazione delle stesse[7].
A causa dell’urgenza segnalata dalle parti coinvolte e dei tempi dettati dal Parlamento, il processo legislativo di riforma è stato piuttosto rapido e, in seguito all’approvazione preliminare da parte del Consiglio dei Ministri avvenuta lo scorso 26 marzo e all’acquisizione dei pareri favorevoli con condizioni e osservazioni delle Commissioni parlamentari competenti, il testo è approdato in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva. Prima della pausa estiva si è giunti al via libera definitivo delle “Disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione e revisione del sistema sanzionatorio in materia di accise e di altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi”[8]. L’attesa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale è avvenuto lo scorso 3 ottobre e dal giorno successivo il testo è entrato in vigore[9]; lo stesso 4 ottobre, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha diramato la Circolare n. 20/2024.
Nella parte relativa alle disposizioni complementari al Codice doganale unionale[10] il nuovo testo si compone di 122 articoli, mostrando un’evidente opera di semplificazione e di riordino rispetto ai 352 articoli contenuti nel solo d.P.R. 43/1973. Altrettanto manifesta è l’attività di razionalizzazione delle fattispecie che caratterizza l’attuale struttura, la quale ha racchiuso in singole formulazioni tematiche omogenee tra loro e ha reso il testo decisamente più aderente e in linea con la normativa unionale.
Uno degli aspetti preponderanti di questo progetto è rappresentato dal riordino della disciplina doganale sanzionatoria sia in tema di contrabbando, contenuta nel Titolo VII, Capo I del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale, che di quella prevista dal Titolo VII, Capo II del medesimo testo. In un’ottica sistematica, considerata la necessità di riorganizzare le fattispecie penali e di rivedere le sanzioni di natura amministrativa, il legislatore ha scelto di ricondurre le molteplici fattispecie di contrabbando contemplate in diverse e frammentate disposizioni del Testo Unico in due macro-categorie[11], rappresentate rispettivamente dagli articoli 78 e 79 del nuovo testo. Gli articoli citati regolano rispettivamente il contrabbando per omessa dichiarazione, ovvero i casi di introduzione, circolazione o uscita delle merci dal territorio doganale unionale in assenza di una dichiarazione doganale e il contrabbando per dichiarazione infedele previsto nelle ipotesi in cui, nonostante sia stata presentata una dichiarazione doganale, venga rilevata una differenza con riferimento a qualità, quantità, origine e valore delle merci nonché a ogni altro elemento utile all’applicazione della tariffa e alla liquidazione dei diritti.
In maniera sensibilmente inferiore rispetto alle previgenti disposizioni, entrambe le casistiche sono sanzionate con la multa dal 100 al 200 per cento dei diritti di confine dovuti e con la confisca delle merci o con la confisca per equivalente prevista dal nuovo articolo 94, ove applicabile.
In tema di configurabilità del contrabbando è stato fissato un valore soglia, pari a 10.000 euro di diritti di confine dovuti o indebitamente percepiti, distintamente considerati, che consente il discrimine tra le fattispecie aventi rilevanza penale e quelle di rilievo amministrativo punibili ai sensi dell’articolo 96 e al di sopra del quale scaturisce l’obbligo di trasmissione della notizia di reato all’Autorità giudiziaria. La determinazione di tale valore, in linea con le previsioni della Direttiva (UE) 2017/1371 (cd. Direttiva PIF)[12] e del Decreto Legislativo attuativo[13], è stata oggetto di diverse critiche e considerazioni da parte delle associazioni di categoria impattate e degli esperti in materia. La soglia è stata ritenuta a diverso titolo critica, potenzialmente problematica[14] e facilmente raggiungibile[15], anche in ragione del computo dell’IVA a seguito della sua introduzione tra i diritti di confine, determinando così un aggravio del carico di lavoro delle autorità giudiziarie coinvolte e dei rischi di esposizione a procedimenti penali per gli operatori economici.
Altro elemento di grande rilievo sulla questione concerne la rimessione della valutazione dell’elemento soggettivo del contrabbando all’autorità giudiziaria competente che, secondo l’interpretazione contenuta nella Circolare n. 20/2024, relativamente ai diritti di confine deve intendersi in via esclusiva la Procura europea EPPO (European Public Prosecutor’s Office). A tale indicazione si è giunti tenendo conto delle richieste avanzate dalle Commissioni parlamentari di riformulare alcune previsioni normative, anche al fine di precisare le competenze della Procura europea EPPO in aggiunta alla Procura nazionale per la comunicazione delle notizie di reato. In capo all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, invece, sorge ora un obbligo di trasmissione di apposita comunicazione alle Procure competenti e viene esclusa dalle competenze della stessa la facoltà di effettuare un vaglio preventivo sull’elemento soggettivo della condotta illecita. Sarà pertanto la Procura a verificare la qualificazione dolosa o colposa della condotta e questo determinerà l’iter procedurale successivo che potrà sfociare nel trattenimento del fascicolo da parte delle suddette autorità e nell’avvio di una contestazione in sede penale o nella riconsegna degli atti all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. In caso di restituzione degli atti la Dogana procederà con l’irrogazione della sanzione amministrativa e, qualora la fattispecie sia inquadrabile nella dichiarazione infedele disciplinata dall’articolo 79, l’articolo 96, comma 14 prevede che l’autore della condotta colposa sia punito con una sanzione amministrativa dall’80 al 150 per cento dei diritti di confine dovuti ma comunque in misura non inferiore a 500 euro e che non possa essere applicata la confisca.
Questa scelta ha una notevole pregnanza dal punto di vista giuridico in quanto consente il pieno rispetto del principio ne bis in idem[16] ovvero esclude del tutto la possibilità di punire più volte il medesimo fatto, contrariamente a quanto talvolta accadeva con la precedente impostazione. La prassi, infatti, rendeva possibile configurare un doppio binario sanzionatorio e pertanto comminare una sanzione penale e una amministrativa, punendo così due volte i medesimi profili di una condotta.
Il quadro fin qui delineato è stato definito da parte della dottrina particolarmente gravoso, soprattutto nella parte in cui il mancato pagamento dei diritti di confine, anche a causa di un mero errore nella dichiarazione, configuri in ogni caso un illecito di contrabbando e solo in via residuale in presenza di determinate circostanze, assenza dell’elemento soggettivo del dolo e importo di diritti di confine dovuti inferiore a 10.000 euro, possa essere derubricato a illecito amministrativo[17] .
Un secondo radicale cambiamento che si affianca a quello appena tracciato riguarda la riformulazione dell’intero sistema di sanzioni amministrative la cui norma cardine era contenuta nell’articolo 303 TULD, volta a punire le discrepanze tra il dichiarato e l’accertato. La previgente disciplina fondava la diversa previsione sanzionatoria sulla circostanza che l’errore avesse comportato o meno e in quale misura la rideterminazione dei diritti di confine, comminando una sanzione amministrativa compresa tra 103 euro e dieci volte l’importo dei diritti. La quantificazione era suddivisa in scaglioni definiti dalla differenza di diritti riscontrata che, a titolo esemplificativo, poteva portare a una sanzione pari a 30.000 euro per una differenza di diritti pari a 3.900 euro, in un ordine di grandezza di quasi dieci volte rispetto all’importo evaso.
Secondo la normativa europea e nazionale e la relativa giurisprudenza, la determinazione e la quantificazione delle sanzioni amministrative devono sottostare a una serie di principi e limiti irrinunciabili dell’ordinamento giuridico quali la ragionevolezza, l’efficacia e la proporzionalità. Per poter appurare il concreto rispetto del principio di proporzionalità, che può essere definito come il rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito[18], è necessario tenere conto della natura e della gravità dell’atto o del comportamento che ha determinato l’insorgenza del trattamento sanzionatorio[19] e valutare se la risposta sanzionatoria posta dall’ordinamento possa essere ritenuta adeguata. L’obiettivo di imporre una sanzione come quella in esame, infatti, dovrebbe essere quello di garantire la riscossione dei diritti dovuti ed evitare la violazione della norma tributaria[20].
La Corte di Cassazione è stata chiamata in più occasioni a pronunciarsi sulle previsioni contenute nell’articolo 303 TULD e, a causa delle soglie minime rigidamente previste e dello squilibrio tra i maggiori diritti accertati e l’importo sanzionatorio, ha statuito la disapplicazione della disciplina per manifesto contrasto con il principio di proporzionalità e contrarietà ai fondamenti del diritto unionale[21]. Era evidente ormai da tempo la difficoltà di poter definire proporzionale un impianto sanzionatorio avente le caratteristiche delineate, pertanto l’intervento del legislatore era oltre modo necessario per far fronte alle innumerevoli pronunce, anche europee, sulla questione e scongiurare il rischio di una procedura di infrazione per il nostro Paese.
La nuova disciplina è contenuta nell’articolo 96 e la sua applicazione è contemplata per le violazioni di cui agli articoli 78 e 79 qualora l’ammontare dei diritti di confine dovuti sia inferiore a 10.000 euro, completando così il quadro con le disposizioni illustrate in precedenza. Il nuovo articolo 96 riunisce le fattispecie che erano contenute nell’articolo 303 TULD e nell’articolo 295 bis TULD relativo alle violazioni di lieve entità e prevede l’applicazione di una sanzione che va dal 100 al 200 per cento dei diritti dovuti con un’attenuazione nei casi in cui i maggiori diritti accertati siano inferiori al 3 per cento di quelli dichiarati. Altra sanzione ridotta nella misura da 150 euro a 1.000 euro, applicabile una sola volta anche in presenza di più singoli[22], è stata introdotta per le ipotesi di violazione formale ovvero qualora nella dichiarazione doganale non siano indicati in maniera esatta gli elementi necessari per il compimento dei controlli ma non vi sia stata un’evasione dei diritti.
In tema di coordinamento della disciplina sanzionatoria il legislatore ha altresì precisato che le nuove previsioni sono applicabili soltanto alle violazioni commesse a partire dalla data di entrata in vigore del decreto mentre la Circolare n. 20/2024 non ha fornito ulteriori indicazioni utili, lasciando nuovamente spazio a interpretazioni locali potenzialmente discordanti tra loro.
Per quanto sia innegabile la maggiore aderenza al principio di proporzionalità del nuovo sistema sanzionatorio, la riformulazione operata dal legislatore ha comunque sollevato delle perplessità, così come la previsione della confisca amministrativa. Alcuni rilievi critici emergono dall’analisi del primo comma dell’articolo in commento e riguardano, da un lato, la scelta terminologia del legislatore che ha optato per l’indicazione di “diritti di confine dovuti” e, dall’altro, dagli incisi ivi contenuti.
Con riferimento al primo aspetto, che coinvolge anche quanto espresso in merito agli articoli 78 e 79, per quanto possano essere chiare la logica e l’intenzione che soggiacciono al nuovo testo, la decisione terminologica adottata potrebbe generare interpretazioni difformi in merito all’individuazione dell’importo di diritti da utilizzare quale base per il calcolo della sanzione, causando una potenziale disomogeneità che sarebbe stata preventivamente evitata da locuzioni non diversamente interpretabili sul punto come “maggiori diritti di confine dovuti” o “maggiori diritti accertati”. A questo proposito, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha immediatamente chiarito che la corretta definizione dell’espressione utilizzata possa essere estrapolata dall’articolo 96, secondo comma e sia rappresentata dalla differenza tra i diritti di confine dichiarati e quelli accertati.
La seconda osservazione riguarda invece gli incisi contenuti nel primo comma dell’articolo 96 secondo i quali, rispettivamente, le violazioni di cui agli articoli da 78 a 83 sono punite con una sanzione amministrativa in misura comunque non inferiore a 2.000 euro mentre quelle di cui all’articolo 79 in misura non inferiore a 1.000 euro. L’applicazione di tali indicazioni, confermate dalla Circolare n. 20/2024, comporterà un aumento delle sanzioni minime rispetto a quelle che venivano inflitte ai sensi del Testo Unico[23]. Questa decisione, considerata la quantità di sanzioni minime irrogate dall’Autorità doganale, avrà un significato pregnante a discapito non solo delle aziende importatrici ma soprattutto dei consumatori, che sono parte integrante del motore del commercio elettronico che ha determinato un notevole impatto sul contesto internazionale e che, in parte, ha portato alla riforma in discorso.
Alla luce dei rilievi emersi è auspicabile che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli continui a intervenire a livello centrale e a fornire le indicazioni necessarie al fine di consentire un’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando così sul nascere possibili distorsioni e mantenga ben saldo il controllo sull’interpretazione delle nuove disposizioni.
Una terza novità piuttosto dibattuta riguarda l’introduzione dell’IVA nella nozione di diritti di confine. L’articolo 27 del nuovo testo, che recepisce e modifica il contenuto dell’articolo 34 TULD, inserisce espressamente nei diritti di confine, accanto ai dazi all’importazione e all’esportazione e ad altri diritti e tributi, l’imposta sul valore aggiunto e ogni altra imposta di consumo dovuta a favore dello Stato all’atto dell’importazione. Questa estensione comporta diverse conseguenze, tra le quali l’applicabilità della disciplina unionale in materia di individuazione del debitore d’imposta e cambiamenti significativi per l’istituto della rappresentanza doganale indiretta, generando una responsabilità solidale per l’IVA in capo ai soggetti che ricoprono il ruolo di rappresentante doganale indiretto.
Con questo intervento il legislatore ha fornito una sua risposta normativa al principio espresso dalla sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea il 12 maggio 2022 (causa C-714/20), avente ad oggetto l’interpretazione e il coordinamento tra la Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006[24], il Regolamento (UE) n. 952/2013 e il Testo Unico. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, adita nell’ambito di una controversia tra una società italiana e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, aveva statuito in maniera granitica che la designazione dei soggetti ritenuti debitori dell’IVA all’importazione rientrasse tra le competenze di ciascuno Stato membro e che tale individuazione dovesse emergere in modo esplicito e inequivocabile dalla disciplina nazionale. In assenza di disposizioni nazionali che riconoscano il rappresentante doganale indiretto quale debitore d’imposta, tale statuizione secondo la Corte non può essere dedotta dalle previsioni europee.
Anche la Corte di Cassazione è stata chiamata a esprimersi sulla questione, innumerevoli sono le pronunce e le tesi alle quali hanno aderito i diversi collegi giudicanti e i dibattiti in merito alla corretta qualificazione dell’IVA all’importazione. La giurisprudenza largamente maggioritaria ha per lungo tempo reputato che l’IVA all’importazione non fosse ricompresa nella nozione di obbligazione doganale, così come definita dall’articolo 5 Regolamento (UE) n. 952/2013; essa ne risulterebbe estranea pur condividendo con i dazi la caratteristica di trarre la propria origine dal medesimo atto ovvero dall’importazione[25]. La constatazione di quest’ultimo elemento ha portato la Suprema Corte a includere l’IVA all’importazione nella categoria degli oneri doganali, a ritenere che essa dovesse essere accertata e riscossa nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo nonché ad affermare la responsabilità solidale del rappresentante doganale indiretto con l’importatore per il pagamento di tale tributo[26]. Solo una parte minoritaria, invece, ha identificato l’IVA come un diritto di confine in senso proprio in virtù del rinvio contenuto nell’articolo 70 d.P.R. 633/1972, che prevede la soggezione dell’IVA alle disposizioni dettate per i diritti di confine[27] per quanto concerne le controversie e le sanzioni.
In seguito alla pronuncia europea della Corte di Giustizia del 2022, l’inclinazione che portava ad affermare la responsabilità del rappresentante doganale indiretto è stata fortemente messa in discussione proprio a causa della mancanza di una norma chiara e precisa che recepisse le facoltà attribuite agli Stati membri dalla Direttiva 2006/112/CE. Si è infatti ritenuto che l’orientamento precedente dovesse considerarsi superato e si è statuito il principio di diritto secondo cui solo l’importatore può essere chiamato a rispondere del mancato pagamento dell’IVA all’importazione[28].
La modifica portata dall’articolo 27 del nuovo testo ha posto momentaneamente fine al dibattito giurisprudenziale e ha riconosciuto e sancito la responsabilità, in solido con l’importatore, del rappresentante doganale indiretto per l’IVA. A questo proposito è opportuno osservare come, a discapito di quanto emerso, la prassi fosse in realtà già rappresentata dal richiedere tale adempimento al rappresentante indiretto e fosse talvolta lontana dalle statuizioni della Corte di Cassazione.
È doveroso dare atto come anche su questo aspetto la dottrina non sia unanime nel commentare la scelta operata dal legislatore e alcuni contributi abbiano criticato la strada intrapresa. I rilievi principali riguardano la discussa natura dell’IVA all’importazione e il suo inserimento nei diritti di confine, contrariamente a quanto sostenuto persino dalla precedente impostazione della Corte di Cassazione favorevole a riconoscere la responsabilità del rappresentante indiretto.
Come accennato in precedenza, in diverse occasioni la giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi in merito all’esclusione dell’IVA dai diritti di confine e alla sua qualificazione quale tributo interno, con tutti i riflessi che questa scelta comporta anche in merito alla possibilità di applicare le sanzioni previste agli articoli 292 e seguenti del Testo Unico sulle leggi doganali[29]. In questo senso è stato più ribadito che il sistema dell’IVA all’importazione sia incardinato su quello generale dell’IVA pur nella consapevolezza delle specificità procedimentali di ciascuna e dei diversi elementi costitutivi dell’infrazione.
La scelta del legislatore potrebbe determinare impropriamente delle differenze sostanziali di trattamento rispetto all’IVA interna e un cortocircuito tra quest’ultimo e il potere giudiziario[30]. Tale contrapposizione potrebbe essere resa ancora più evidente in seguito alla scelta delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’articolo 70 d.P.R. 633/1972 in relazione agli articoli 282 e 301 TULD rispetto all’articolo 3 della Costituzione e dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[31]. L’ordinanza interlocutoria ha rilevato come la confisca disciplinata dall’articolo 301 TULD, misura di sicurezza particolarmente afflittiva, cumulata con la sanzione amministrativa pecuniaria rappresenti un trattamento sanzionatorio più severo rispetto a quello previsto in caso di violazioni per evasione dell’IVA interna. Emerge altresì dal provvedimento come la bipartizione sanzionatoria sia evidente sia nelle fattispecie di rilievo penale che in quelle sanzionate in via amministrativa[32] e come la disciplina sia difficilmente riconducibile nei concetti di proporzionalità e ragionevolezza.
Secondo alcuni esperti in materia la riforma sembra volersi discostare dalle statuizioni della giurisprudenza largamente maggioritaria e sembra non aver tenuto in considerazione le contraddizioni dell’inclusione dell’IVA tra i diritti di confine, limitandosi a far proprio l’orientamento contenuto nella sentenza n. 4978 della Corte di Cassazione penale, sez. III, del 12 febbraio 2022[33].
Considerata la pluralità di interpreti chiamati a esprimersi nell’esercizio delle loro funzioni e coinvolti nell’esame delle nuove disposizioni, queste divergenze potrebbero aggravare una situazione già di per sé complessa, fragile e frammentata che potrebbe ulteriormente accentuarsi in seguito alla scelta legislativa.
La consapevolezza delle esigenze che hanno portato a una delle riforme più significative della normativa doganale nazionale, nonché del lavoro svolto e degli sforzi fatti per arrivare a questo punto, si unisce alla speranza che l’Italia non si ritrovi con un testo finalmente aggiornato e in linea con le previsioni europee ma troppo attuale, privo di sguardi sul futuro.
Ci troviamo in un contesto di crescita, di progresso tecnologico e di continuo sviluppo del commercio internazionale nel quale gli organi dell’Unione Europea, in primis la Commissione Europea, hanno già gettato solide basi per il futuro della normativa doganale. La proposta di riforma del Codice Doganale dell’Unione, pubblicata a maggio dello scorso anno, pone sfide ambiziose per gli operatori economici, per gli Stati membri, per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e per tutto il panorama doganale europeo. In particolare, la creazione di un’Autorità doganale europea che gestirà la valutazione del rischio a livello centrale e garantirà un maggiore coordinamento tra gli Stati membri e la realizzazione del Customs Data Hub quale unica interfaccia europea che semplificherà i processi doganali, rappresenteranno una rivoluzione per il mondo doganale e riscriveranno interamente il concetto di “Dogana”. Anche le aziende italiane non dovranno essere da meno e si dovranno confrontare con le novità, in un’ottica europea di creazione di un nuovo partenariato che andrà sempre di più nella direzione di avere operatori di fiducia, affidabili e trasparenti con l’introduzione della figura del Trust and Check Trader, rafforzando così il programma AEO.
La normativa nazionale dovrà continuare a essere aggiornata, a recepire i cambiamenti e a dimostrarsi elastica nei confronti di questi; non ci possiamo permettere interventi legislativi di riordino così distanti e sporadici nel tempo.
Infine, tornando con la mente al presente, soltanto l’effettiva applicazione delle nuove disposizioni nazionali agli innumerevoli scambi commerciali giornalieri che vedono come protagonista il nostro Paese sarà il vero banco di prova di questa riforma. Solo a partire da quel momento, infatti, sarà possibile dare un giudizio equo sul lavoro che è stato fatto e si potranno valutare gli ulteriori interventi eventualmente necessari per arginare sul nascere possibili derive. Nel frattempo gli operatori economici devono farsi trovare pronti e ridurre al minimo il rischio di esposizione a possibili contestazioni, rendendo i propri processi il più possibile in linea con le nuove norme.
—
NOTE
[1] Legge 9 agosto 2023 n. 111 “Delega al Governo per la riforma fiscale”.
[2] Relazione illustrativa, relazione tecnica, ATN e AIR in www.camera.it.
[3] Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale”.
[4] Decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374 “Riordinamento degli istituti doganali e revisione delle procedure di accertamento e controllo in attuazione delle direttive n. 79/695/CEE del 24 luglio 1979 e n. 82/57/CEE del 17 dicembre 1981, in tema di procedure di immissione in libera pratica delle merci, e delle direttive n. 81/177/CEE del 24 febbraio 1981 e n. 82/347/CEE del 23 aprile 1982, in tema di procedure di esportazione delle merci comunitarie”.
[5] Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992 che istituisce un codice doganale comunitario.
[6] Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione.
[7] S. Armella, Normativa doganale nazionale più coerente con la disciplina europea, in Corriere Tributario, n. 7, 1 luglio 2024, p. 664.
[8] Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 91 del 7 agosto 2024 in www.governo.it.
[9] Pubblicato nella GU Serie Generale n. 232 del 3 ottobre 2024.
[10] Allegato 1, Decreto Legislativo 26 settembre 2024, n. 141.
[11] Dossier “Schema di decreto legislativo recante disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione” in www.camera.it.
[12] Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.
[13] Decreto legislativo 14 luglio 2020, n. 75 recante “Attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale”.
[14] S. Armella, Approvato il nuovo testo unico doganale, in www.arcomsrl.it, 8 agosto 2024.
[15] L. Iannuzzi, Riforma del Tuld: dichiarazione infedele, in www.c-trade.it, 20 aprile 2024.
[16] S. Armella, Riforma del diritto doganale: novità e implicazioni per professionisti e imprese, in www.quotidianopiu.it, 8 luglio 2024.
[17] B. Santacroce, Riforma doganale – abrogato Testo Unico delle Leggi Doganali, in www.studiosantacroce.eu, 4 ottobre 2024 e E. Sbandi, Nuove sanzioni doganali: effetti pratici (e dubbi) sulla proporzionalità delle norme recenti le disposizioni complementari al Codice Doganale UE, in L’IVA, n. 10, 1 ottobre 2024, p. 25.
[18] Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. VI, sentenza 17 luglio 2014, causa C‐272/13.
[19] Corte Cost., sentenza 10 giugno 2021, n. 185.
[20] Cass. civ. sez. VI, ordinanza 11 maggio 2022, n. 14908.
[21] Cass. civ., sez. V, ordinanza 13 luglio 2023, n. 20058 la quale ha ritenuto sussistente un contrasto tra la norma europea e l’art. 303, c. 3, lett. e) d.P.R. 43/1973 risolvibile solo attraverso la disapplicazione di quest’ultima previsione.
[22] La previsione è in linea con le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con la circolare n. 25/2023, da intendersi superata per effetto della novella legislativa.
[23] La relazione illustrativa contempla espressamente l’aumento delle sanzioni minime, soprattutto per quelle previste per le violazioni di lieve entità.
[24] Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (cd. Direttiva IVA).
[25] Cass. civ., sez. V, sentenza 27 luglio 2022, n. 23526.
[26] Cass. civ., sez. V, sentenza 27 aprile 2021, n. 11029.
[27] Cass. pen., sez. III, sentenza 13 gennaio 2022, n. 4978.
[28] Cass. civ., sez. V, sentenza 27 luglio 2022, n. 23526 e Cass. civ., sez. V, sentenza 25 maggio 2024, n. 14382.
[29] Sulla questione: F. Capello, La natura dell’IVA riscossa all’importazione in Diritto e Pratica Tributaria, n. 3, 1 maggio 2019, p. 1136 e Cass. civ., sez. V, sentenza 21 marzo 2019, n. 7951.
[30] B. Santacroce e A. Abagnale, Cortocircuito sulla natura dell’Iva all’importazione tra giudici e legislatore, 5 luglio 2024, in www.studiosantacroce.eu.
[31] Cass. civ., sez. unite, ordinanza interlocutoria 4 luglio 2024, n. 18284.
[32] In tema di impossibilità di giustificare un divario sanzionatorio manifestamente sproporzionato si veda: Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. VI, sentenza 25 febbraio 1988 – Causa 299/86.
[33] M. Dellapina, Il “rapimento” dell’IVA all’importazione: sarà inglobata tra i diritti di confine?, 27 settembre 2024, in www.ipsoa.it.
Marta Galbussera è Customs Affairs Specialist presso DHL Express Italy