Prefazione di Paolo Pasqui

Confesso che la richiesta di scrivere una prefazione per il libro di Gianni De Mari mi ha preoccupato, non l’ho mai fatto e non so se sarò capace di farlo in maniera quanto meno decente, ma è stata la richiesta di un amico e a un amico non si può negare almeno un tentativo.

Poi ho cominciato a leggerlo e, a poco a poco, ha risvegliato vecchi ricordi, fatto rivivere le tante battaglie, a volte combattute assieme, richiamare la visione condivisa del futuro e ho pensato che forse potessi farcela.

Il testo svela la passione, l’amore dell’autore per una professione a volte difficile, impegnativa, coinvolgente, poco prestigiosa rispetto a più antiche e radicate attività, ma inesauribile fonte di arricchimento culturale e conoscitivo riaccendendo in chi, come me l’ha vissuta, sopite emozioni.

La nostalgia nella prima parte, quella più diaristica, che mi ha riportato a un tempo in cui si lavorava molte ore, si viveva più con funzionari e colleghi che con le proprie famiglie, ma c’era serenità, quasi piacere in tutto questo, il contraddittorio con i funzionari era a volte acceso, si contrapponevano diverse visioni o interpretazioni, ma era ben chiaro che ognuno assolveva il suo ruolo, la discussone non era mai personale e a fine lavoro si prendeva l’aperitivo, a volte, si andava tutti assieme a cena. Nascevano rapporti di reciproca stima, a volte anche amicizie, era, come la chiama Gianni, una dogana romantica, anzi di più: era una dogana umana.

Lo smarrimento provocato da un processo di rinnovamento e di “modernizzazione”, dettagliatamente e perfettamente descritto, ha lentamente modificato i rapporti sia con la dogana, sia al nostro interno. Un processo in cui, complice anche un ampio prepensionamento dei vecchi funzionari, preparati, ma comprensivi, sostituiti da giovani a volte brillanti, ma gettati allo sbaraglio senza un adeguato tirocinio e indottrinati ad una maggiore diffidenza, ha portato a non vedere più nello spedizioniere doganale (ci chiamavamo ancora così) un collaboratore dell’amministrazione, un filtro preventivo che, grazie anche alla conoscenza del cliente e a un rapporto più confidenziale con lo stesso, eliminava o almeno riduceva problemi e rischi a volte anche occulti. Ma i rapporti sono cambiati anche al nostro interno, il fattore economico-imprenditoriale ha prevalso sul senso di appartenenza, interessi e personalismi hanno portato a scontri accesi, a fazioni che certo non hanno contribuito ad affrontare unitariamente i problemi che si profilavano. Non che prima non ci fossero concorrenza e visioni contrastanti, ma in fondo c’era la consapevolezza di far parte di un unicum nella cui unità stava anche la forza. Probabilmente tutto questo è stato fortemente influenzato dai cambiamenti sociali, dal sostituirsi alla centralità del rapporto umano e personale il nume del mero profitto, della competizione economica, del successo come indice di valore sociale.

L’ansia e il timore delle conseguenze di una sfrenata liberalizzazione della nostra attività professionale, provocata da una normativa prima comunitaria, poi unionale in cui una visione nordeuropea che previlegia una visone arrogantemente e ottusamente incentrata in un discutibile risparmio economico provocato da una concorrenza sfrenata in dispregio di competenza, sicurezza e salvaguardia dell’interesse degli stessi utenti che non dispongono più di un interlocutore sicuro. Il tutto in contrasto con le maggiori economie mondiali che hanno seguito la direzione opposta rafforzando e qualificando sempre più gli intermediari e il risultato di queste politiche lo stiamo vivendo oggi con un’Europa con crescite risibili o addirittura in recessione, sempre più marginalizzata economicamente e politicamente.

La speranza che, in questa visione negativa, viene dalla sempre maggiore complessità delle normative che incidono nel momento doganale,  dal sorgere e consolidarsi di tensioni geopolitiche che incidono pesantemente sui traffici, da una tendenza dell’Unione a ribaltare sull’operatore economico sempre maggiori responsabilità e in sostanza un’inversione dell’onere della prova, da una politica green che impone agli importatori responsabilità su modalità di produzione su cui non ha diretta conoscenza e tantomeno controllo, da un inasprimento, almeno nazionale, delle sanzioni che spesso sono di rilevanza penale. Tutto ciò, come ben documenta l’autore, apre nuove ed interessanti prospettive per i doganalisti, ma che richiede un percorso di alta formazione, che il CNSD ha da tempo avviato, che ci trasformi da meri dichiaranti doganali a professionisti capaci di assistere ed indirizzare le aziende nell’organizzazione, nella compliance doganale, nella due diligence consentendo ai nostri clienti l’adeguamento alle normative e una importante riduzione dei rischi, in sostanza dei consulenti a tutto tondo nel commercio internazionale.

Una cosa mi ha particolarmente colpito, Gianni è stato per moltissimi anni a capo del Consiglio nazionale, funzione che ha ricoperto con intelligenza e passione tanto da arrivare quasi a identificare il ruolo con la persona, ma mai, nel libro, mette in risalto il suo ruolo, mai usa la prima persona singolare, ma sempre quella plurale mettendo in primo piano l’istituzione e questo dovrebbe dire molto sulla personalità di Gianni De Mari.

Doganalista, Presidente del Consiglio nazionale degli spedizionieri doganali.
Titolare dell'azienda fondata nel 1957 dal padre ha svolto per molti anni l'attività classica di spedizioniere doganale attualmente portata avanti dai figli ed attualmente si occupa principalmente di consulenza in campo doganale e intracomunitario.
È stato per circa vent'anni membro del Consiglio Territoriale dell'Ordine professionale di cui otto come presidente.