Con la recente sentenza 1° ottobre 2024, n. 869, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, applicando un principio ormai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte in materia di efficacia probatoria del report Olaf, ha rigettato l’appello dell’Ufficio sulla base della insufficienza del solo rapporto a fondare la pretesa della Dogana.

E invero, nel caso sottoposto ai giudici di appello, la Dogana ha contestato a una società l’origine dei prodotti importati, esclusivamente sull’assunto che la società esportatrice, peraltro non menzionata dal rapporto Olaf richiamato dall’Ufficio nell’accertamento, avesse caratteristiche simili con una delle società attenzionate dal medesimo rapporto.

Tale presunzione, ad avviso dei giudici di primo grado, non è sufficiente a fondare la pretesa, giacchè dovrebbe essere corroborata da ulteriori elementi di fatto, nel caso di specie assenti.

Al riguardo, la Suprema Corte in materia di origine ha affermato che, in materia di attribuzione di rilevanza probatoria ai documenti versati in atti, l’Amministrazione doganale non può limitarsi a fondare la propria pretesa unicamente su generiche contestazioni o informazioni, senza contestare con certezza, determinatezza e univocità l’origine doganale dei prodotti importati.

In particolare, i giudici di legittimità hanno in più occasioni affermato che “la CTR non ha proceduto ad attribuire l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare, avendo soltanto valutato in senso favorevole al contribuente gli elementi di prova addotti dalle parti, in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza di elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2” (Cass., 23 giugno 2023, n. 18124; ex pluribus, Corte giust. secondo grado Lombardia, 5 maggio 2023, n. 1589; Cass., 11 maggio 2021, n. 12385; Cass., 29 aprile 2020, n. 8337).

Occorre inoltre evidenziare che la giurisprudenza della Suprema Corte è univoca nell’affermare che “Sul piano della ripartizione degli oneri probatori la sentenza si pone in linea con il principio fissato dalla giurisprudenza unionale (Corte Giust. 16 marzo 2017, C-47/16), secondo cui qualora la relazione contenga unicamente una descrizione generale della situazione di cui trattasi, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, tale relazione non può essere di per sé sufficiente per dimostrare, in modo giuridicamente valido, che tali condizioni siano effettivamente soddisfatte in tutti gli aspetti, in particolare, per quanto concerne il comportamento rilevante dell’esportatore; in tali circostanze spetta in linea di principio alle autorità doganali dello Stato di importazione fornire la prova, mediante elementi di prova supplementari, che il rilascio, da parte delle autorità doganali dello Stato di esportazione, di un certificato di origine modulo A inesatta è imputabile alla presentazione inesatta da parte dell’esportatore; il giudice nazionale ha nel caso in questione compiuto, con valutazione in questa sede non sindacabile l’apprezzamento degli elementi sottoposti al suo giudizio, facendo appunto leva sulla inidoneità dell’accertamento dell’Olaf e alla mancanza di elementi supplementari che dessero certezza della provenienza della merce dalla Cina” (Cass., 29 aprile 2020, n. 8337; nello stesso senso, Cass., 23 giugno 2023, n. 18124).

E ancora, recentemente la giurisprudenza di merito ha espressamente affermato che “in tema di dazi antidumping applicati a fronte del disconoscimento dell’origine della merce importata, la pretesa impositiva non può essere fondata unicamente su di una relazione Olaf che si riferisca a importazioni compiute in un periodo di tempo diverso da quello contestato e che per di più non abbia compiuto alcuna verifica diretta al processo produttivo dei materiali contestati da parte dell’esportatore” (Comm. trib. reg. Genova, 23 agosto 2022, n. 700, Pres. e Rel. Caputo; Corte giust. secondo grado Lombardia, 5 maggio 2023, n. 1589).

Nel caso di specie, i giudici di merito, dopo aver valutato le prove versate in atti dal ricorrente ha accolto il ricorso, affermando che “Osserva il collegio che, se anche l’art. 9, comma 2, Reg. 1073 del 1999 attribuisce piena rilevanza probatoria alla relazione finale redatta dall’Olaf all’esito delle indagini antifrode (…) tuttavia, qualora ne sia contestata in giudizio la pertinenza è onere dell’Uffico provare le proprie affermazioni (…). La somiglianza di denominazione sociale tra le due società e la data di costituzione della società importatrice (poco dopo la cancellazione dal locale registro delle imprese di quella risultante dalla relazione OLAF) a parere della Corte non paiono elementi decisivi per poter fondatamente ritenere la sostanziale coincidenza e continuità tra le due imprese, non essendovi – contrariamente a quanto assumono gli uffici doganali – alcun sicuro elemento per sostenere che le due società avessero la medesima sede legale o effettiva (non potendosi questa desumere dalla loro comune localizzazione in una stessa area commerciale). Neppure consta alcun elemento dal quale possa dedursi che le due società fossero dipendenti da un comune centro di interessi o direttivo o fossero appartenenti ad un medesimo gruppo” (Corte di giust. trib. di primo grado di Genova, 1° ottobre 2024, n. 869; nello stesso senso, Corte di giust. trib. primo grado Genova, 4 marzo 2024, n. 225; Corte di giust. trib. primo grado Genova, 22 marzo 2024, n. 283).

E invero, l’Olaf si riferiva a fatti constatati e importazioni avvenute ben 10 anni prima rispetto alle importazioni revisionate e non menzionava in alcun modo l’esportatore che all’epoca del rapporto Olaf società non ancora costituito.

Correttamente, pertanto, i giudici di merito hanno annullato l’accertamento impugnato.

A fronte di un orientamento crescente si confida che l’Amministrazione si astenga dal recepire acriticamente il contenuto di indagini Olaf, talvolta strumentalmente e forzosamente adattandole a fattispecie diverse da quelle oggetto di indagine dell’Organismo europeo.

Laureata con lode all'Università di Genova con una tesi di Diritto Privato Internazionale, è iscritta all'Albo degli avvocati dal 1999 e all'Albo speciale dei patrocinatori davanti alla Corte di Cassazione dal 2014.

Ha collaborato dal 2001 al 2007 con lo Studio De André, importante studio genovese specializzato in diritto societario e commerciale, e in seguito con un noto studio legale specializzato in diritto tributario (nazionale e internazionale) e in diritto doganale.

Nel 2014 ha fondato con l'avv. Zunino lo Studio legale Zunino - Picco, specializzato in diritto tributario e doganale.

Dal 2016 è socio ordinario dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI).

Laureata all’Università di Genova, è iscritta all’Albo degli Avvocati dal 2001 e all’Albo speciale dei patrocinatori davanti alla Corte di Cassazione dal 2014.
Principali settori di attività: contenzioso tributario, diritto tributario nazionale e internazionale, diritto doganale.
Ha approfondito le problematiche doganali connesse alla realtà degli operatori del settore, ponendo quesiti, avanzando interpelli presso le Autorità competenti e impugnando presso le competenti sedi i provvedimenti delle Agenzie fiscali.
Dal 2016 è socio dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI).
Dal 2017 è componente del Consiglio di disciplina territoriale degli spedizionieri doganali della Liguria.