Le indagini compiute dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) hanno valore probatorio, solo se riferite a importazioni effettuate nel medesimo periodo oggetto dell’attività investigativa, non essendo legittimo trarre dagli esiti di tali accertamenti conclusioni generalizzate, relative ad operazioni effettuate in periodi successivi o antecedenti a quelli esaminati. È questo il principio espresso dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza 22 febbraio 2022, n. 512, intervenuta su uno dei sempre più frequenti casi di applicazione dei dazi antidumping sulle importazioni di tubi di acciaio.
Il caso da cui trae origine la pronuncia riguarda la contestazione di elusione di dazi antidumping, in ragione di quanto indicato in un report dell’OLAF, inerente indagini condotte tra il 1° gennaio 2015 e il 30 novembre 2017.
Sulla scorta degli esiti di un’indagine condensata in un report finale (assimilabile, per natura ed efficacia giuridica, a un processo verbale di constatazione) l’Agenzia delle dogane contestava a una Società due diverse importazioni, la prima risalente al 2017 e l’altra conclusa nel 2018, ossia successivamente al periodo preso in analisi dal report.
In particolare, l’Agenzia delle dogane, contestava l’origine cinese e non indiana delle merci, con conseguente richiesta di un dazio antidumping nella misura del 71,9% del valore dei prodotti importati.
La sentenza in questione afferma che, dal contenuto del report, riferito a uno specifico intervallo temporale, non è possibile trarre nessun elemento probatorio rispetto ad operazioni realizzate in periodi successivi o antecedenti a quelli esaminati nelle indagini.
In particolare, la Commissione, con riferimento all’operazione conclusa nel 2018, ha affermato chiaramente l’assenza di rilevanza delle indagini effettuate dall’OLAF nel caso di specie poiché tale operazione non rientrava tra quelle alle quali si riferiva il rapporto.
In merito all’operazione realizzata nel 2017, i giudici di primo grado, invece, hanno sostenuto che se da un lato è legittimo fondare la rettifica sul contenuto di un rapporto OLAF, dall’altro quest’ultimo, in assenza di ulteriori motivazioni a sostegno, non può da solo fondare l’accertamento doganale.
Come è noto, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode è un organismo istituito nel 1999 come servizio generale della Commissione europea, con il potere di svolgere, in piena indipendenza, indagini interne, in qualsiasi istituzione o organismo finanziato dal bilancio dell’UE, o esterne, con il fine di rilevare casi di frode, corruzione e altre attività illecite, che possano danneggiare gli interessi finanziari dell’Unione.
In ambito doganale, in particolare, assumono particolare rilievo le indagini sull’origine dei prodotti, volte a rilevare possibili evasioni dei dazi antidumping.
Al riguardo, occorre evidenziare che la Corte di Cassazione ha ormai escluso la valenza probatoria “privilegiata” dei report dell’Organo antifrode europeo, distinguendo, all’interno degli accertamenti indicati nelle relazioni OLAF, la parte relativa alla “contestazione”, ossia quella fondata sui riscontri e sui dati storico-oggettivi acquisiti nel corso dell’indagine svolta, dalla parte definita di “supposizione”, ovvero di ricostruzione presuntiva, determinata in via di deduttiva a partire dai fatti storici acquisiti (Cass., sez. trib., 11 agosto 2016, n. 16962).
Dal momento che le conclusioni dell’OLAF spesso si riferiscono a migliaia di operazioni e a differenti esportatori, è onere dell’Amministrazione provare che l’indagine sia direttamente e specificamente riferibile ai prodotti sottoposti a rettifica.
Tale principio discende dalla necessità che ogni indagine, comprese quelle svolte da organismi internazionali di indiscusso prestigio e altissima professionalità, approdi alla dimostrazione, fondata su dati oggettivi, dei presupposti alla base dell’attività di accertamento.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha ormai riconosciuto che, ai fini dell’accertamento dei dazi antidumping, non è sufficiente la sola segnalazione dell’OLAF circa eventuali violazioni, ove la stessa non sia supportata da concreti elementi probatori, di natura oggettiva, circa l’irregolarità delle specifiche operazioni contestate (Cass., sez. V, 31 luglio 2020, n. 16469; Cass., sez. trib., 24 luglio 2020, n. 15864).
Nello stesso senso è orientata la prevalente giurisprudenza di merito (Comm. trib. prov. Venezia, 7 giugno 2021, nn. 456 e 457; Comm. trib. prov. La Spezia, 29 giugno 2021, n. 130; Comm. trib. reg. Genova, 13 gennaio 2015, nn. 48-54; Comm. trib. prov. di Genova, 4 novembre 2014, nn. 2114 e 2117), anche se non mancano pronunce di segno contrario.
Il verbale con il quale l’Organo europeo antifrode informa le Autorità doganali nazionali di eventuali violazioni non legittima, da solo, la rettifica impugnata, gravando sull’Amministrazione l’onere di provare che tale indagine sia specificamente riferibile proprio ai prodotti oggetto di contestazione. I giudici milanesi ribadiscono che i documenti e le informazioni trasmesse dall’OLAF, all’esito di un’indagine internazionale che ha coinvolto il fornitore del Paese terzo possono assumere valore probatorio e fondare una contestazione dell’Ufficio verificatore, soltanto se siano direttamente riferibili all’operazione per cui si assume la violazione. Nel caso in cui i prodotti importati facciano riferimento a un periodo successivo o antecedente a quello dell’importazione, tale collegamento diretto con i prodotti importati è evidentemente insussistente, con contestuale irrilevanza sotto il profilo probatorio dell’atto di accertamento doganale.
È in un quadro giurisprudenziale che si va ancora definendo, che si inserisce la sentenza in analisi, la quale conferma i numerosi precedenti sul tema e aggiunge un connotato prettamente temporale a quanto già chiarito sotto il profilo della necessità di una prova specifica e concreta dell’erronea indicazione dell’origine. Ciò sulla scia di quanto chiarito recentemente anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 31 luglio 2020, n. 16469.
Laureata in Giurisprudenza nel 1993, con lode e la dignità di stampa, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Genova dal 1996, conseguendo 300/300 all’esame finale, ha esercitato, dal 1993 al 2008, attività professionale con il prof. Victor Uckmar, per il quale ha svolto per diversi anni attività di ricerca e didattica in diritto tributario presso l’Università di Genova
Nel 2008 ha fondato lo Studio Armella & Associati, con sedi in Milano e Genova, indicato dalla rivista Forbes tra “Le 100 eccellenze del legal in Italia” e dalla rivista Top legal tra i migliori studi di diritto tributario. Lo Studio è tra i fondatori e unico membro italiano di Green lane, associazione internazionale di studi professionali indipendenti, specializzata in dogane e diritto del commercio internazionale
Membro della Commissione di esperti in materia doganale, nominata dal Vice Ministro delle finanze on.le Maurizio Leo per l’attuazione della riforma fiscale (decreto n. 99/2023)
Presidente della Commissione Dogane & trade facilitation della Sezione Italiana della International Chamber of Commerce e delegato italiano presso la Commission on Customs and trade facilitation della ICC di Parigi
Docente di diritto doganale presso Università Bocconi, Università Statale di Milano e La Sapienza di Roma in Master e Corsi post universitari, professore a contratto presso ICE